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Giovanni Floris a TvBlog: “Con DiMartedì riparto da zero ma cerco di togliere pubblico a Ballarò” (VIDEO)

Floris sull’addio a Viale Mazzini: “Se sono su La7, delle divergenze c’erano. Se la Rai pensa che siano economiche lo dica e io risponderò”

pubblicato 2 Settembre 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 01:05

Al termine della conferenza stampa di presentazione di Diciannovequaranta e DiMartedì, in partenza rispettivamente lunedì 8 e martedì 16 su La7, TvBlog ha posto alcune domande a Giovanni Floris. Al conduttore abbiamo chiesto di chiarire in maniera definitiva i motivi del suo addio alla Rai e se la messa in onda ‘allungata’ fino a mezzanotte possa comportare una serie di problemi a livello di contenuti (La Gabbia, per esempio, pur di arrivare a mezzanotte inoltrata manda in onda uno stesso servizio due volte nella medesima puntata). E poi le domande di rito sulle novità e sulle aspettative di ascolti. Di seguito trovate la trascrizione di una parte dell’intervista, mentre in apertura di post vi proponiamo il video integrale.

Mettiamo subito il punto al passato. Il direttore di Raitre Andrea Vianello ha dichiarato che le sue richieste editoriali erano state tutte accolte. Lei, Floris, ha detto il contrario. Chi ha detto il falso?

Diciamo così: se sono su La7, delle divergenze c’erano. Se la Rai pensa che siano economiche lo dica e io risponderò.

In conferenza ha detto che la scenografia è bellissima, che Crozza è il miglior autore satirico, che Pagnoncelli è il sondaggista più credibile. Insomma, siete costretti a vincere la serata del martedì?

Stai chiedendo all’oste se il vino è buono. Noi abbiamo un elemento di grande orgoglio: lasciare Ballarò, una trasmissione che abbiamo creato da zero e che abbiamo fatto diventare la più importante nel panorama radiotelevisivo italiano. La più seguita. L’altro elemento di orgoglio è che venga affidata ad un giornalista così importante e autorevole come Massimo Giannini. Vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro, non hanno preso il primo che passava per strada, ma un vicedirettore di Repubblica. Adesso noi ripartiamo da zero, piano piano. Nel tempo cercheremo di spostare le persone che guardano Ballarò su DiMartedì. Ci vuole tempo, siamo consapevoli che sia un progetto ambizioso. Ci poniamo contro la trasmissione più forte che c’è, ma siamo convinti di saper fare il nostro lavoro. Crozza, Pagnoncelli, gli autori, gli inviati è gente che sa lavorare, professionisti seri.

Allungando la diretta fino a mezzanotte circa – Ballarò finiva intorno alle 23.30 – c’è il rischio di diluire troppo i contenuti e magari di rischiare di ripeterli, come succede talvolta a La Gabbia di Paragone?

Avere più tempo è un vantaggio, basta avere più idee. Io penso di averne tante. Sono contento quindi di avere più tempo.

Il passaggio da una tv di servizio pubblico, anche se sul mercato, a una squisitamente commerciale comporta un cambio di approccio da parte del conduttore? Bisogna cercare di essere più accattivanti?

Tutto si poteva dire di Ballarò, tranne che fosse accattivante. Ci accusavano di essere polverosi, noiosi perché eravamo molto secchioni, abbiamo sempre parlato con accademici e politici di problemi reali. Questo è il taglio che io porto a La7 con DiMartedì: logica, semplicità, spiegare le cose. Sono convinto che funzionerà e che non ci sia bisogno di essere accattivanti.

P.s. Chiedo ufficialmente scusa; ho bucato la domanda del secolo: “Giova, perché chiami i cartelli in ordine sparso?”