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Mediaset, Rai e Sky contro i colossi del web: “Servono regole comuni”

Le tv lamentano assenza di parità di trattamento, non solo a livello fiscale, ma anche rispetto alla pubblicità, alla par condicio, alla tutela dei minori e alle quote di investimento in produzioni europee

pubblicato 12 Giugno 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 03:29

La tv contro il web. Semplifichiamo, certo, ma in fin dei conti il concetto è proprio questo. L’industria televisiva nazionale chiede parità di condizioni per competere con i colossi del web. È quanto emerso ieri dall’assemblea di Confindustria Radio Televisioni dove Rai, Mediaset e Sky hanno fatto prove di alleanza in difesa degli investimenti che sarebbero messi a rischio dal regime fiscale più favorevole di cui godono Apple, Google-Youtube, Amazon, Netflix e Facebook.

Il Presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha spiegato che “la mancanza di regole ci danneggia”:

Ci sono dei nuovi mostri che appaiono, che fanno pirateria e non pagano le tasse. Queste società danneggiano i broadcaster che producono l’80% dei contenuti multimediali.

Il tema è quello della possibilità per i grandi gruppi multinazionali (sia quelli che vendono beni di consumo – Amazon -, sia quelli che producono contenuti – Facebook) di pagare le tasse in Paesi europei fiscalmente meno invasivi facendo figurare le operazioni effettuate in Italia come scambio di servizi con la filiale situata in Paesi come l’Irlanda o il Lussemburgo.

Rodolfo De Laurentiis, presidente di Confindustria Radio-Tv, dopo aver indicato i numeri della crisi nera del settore della comunicazione (il settore negli ultimi 5 anni ha perso 3,4 miliardi di euro, -35% rispetto al 2008), ha fatto notare che “i giganti del web capitalizzano guadagni senza sottostare alle regole degli editori tradizionali e restituiscono pochissimo al sistema-paese in termini di occupazione e tasse”.

Così, nell’anno in cui ricorrono i 90 anni della radio, i 60 della televisione e il 25 del web, la relazione di De Laurentiis ha evidenziato che il consumo medio di tv, quattro ore e 21 minuti, cresce ancora nel 2013 sul 2012 dimostrando come il piccolo schermo “resta centrale per il sistema pubblicitario e per lo stesso web”.

Dunque la richiesta emersa è quella di una parità di condizioni con i giganti del web, non solo a livello fiscale, visto che essi non hanno gli stessi obblighi delle emittenti quanto ad affollamenti pubblicitari, quote di investimento e programmazione in produzioni europee, par condicio, tutela dei minori.

In questa direzione è andato anche Antonio Preto, commissario dell’Agcom:

Oggi cinema, fiction e altri generi di intrattenimento sono finanziati direttamente o indirettamente solo dal piccolo schermo. Si deve andare verso una nuova regolazione dei contenuti per settori prima separati e oggi convergenti.

C’è poi il capitolo delle frequenze. Confalonieri si è lamentato:

Sulla banda 700 (dell’UHF, canali dal 49 al 60, ndr) hai un’autorizzazione per vent’anni e, tutto a un tratto, ti trovi a dover migrare da un’altra parte.

Maurizio Giunco, presidente della Frt (Associazione Tv Locali), ha spiegato che le 93 tv locali che fatturano più di un milione di euro sono il 18% di quelle totali e che su 480 milioni di ricavi del comparto, ben il 75% è generato dalle prime cento tv, ma, ha fatto notare, “norme e regolamenti sono ricaduti proprio sulla testa delle azienda strutturate”

Eric Gerritsen, direttore della comunicazione di Sky Italia, si è detto convinto che “occorrono norme più elastiche, sugli obblighi di produzione e pubblicità, ma serve anche una nuova gestione delle frequenze”.

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