Home Notizie La recensione della cerimonia di chiusura di Londra 2012 in una parola (e tante foto): pop

La recensione della cerimonia di chiusura di Londra 2012 in una parola (e tante foto): pop

Un concentrato della cultura popolare british d’esportazione, confezionato per il pubblico televisivo ma anche per quello dell’Olympic Stadium. Uno spettacolo perfettamente riuscito.

pubblicato 13 Agosto 2012 aggiornato 4 Settembre 2020 02:43

Londra 2012 – Le foto della cerimonia di chiusura

Londra 2012 - Le foto della cerimonia di chiusura
Londra 2012 - Le foto della cerimonia di chiusura
Londra 2012 - Le foto della cerimonia di chiusura

La cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di Londra 2012 è stata decisamente meno strutturata, dal punto di vista narrativo, rispetto a quella d’apertura. E’ stata anche un po’ cacofonica, un immenso calderone di immagini, suggestioni, riferimenti, note e movimenti, coreografie e costumi che ha dimostrato una volta di più il gusto per lo show e per il divertimento degli inglesi.

L’avevano promesso, che sarebbe stata una festa, e la promessa è stata mantenuta: festa per gli atleti, festa per i fan della musica britannica, festa per chi si è gustato in televisione l’ultimo atto delle Olimpiadi.

Questa volta non c’era la regina. Ma c’era la reunion delle Spice Girls. C’erano gli Who a chiudere. C’erano i Take That. C’erano i Queen e c’erano le voci e i volti di John Lennon e di Freddie Mercury. C’era, insomma, tutto l’immaginario british d’esportazione.

Olimpiadi di Londra 2012 – Le foto più belle

Olimpiadi di Londra 2012 - Le foto più belle
Olimpiadi di Londra 2012 - Le foto più belle
Olimpiadi di Londra 2012 - Le foto più belle
Olimpiadi di Londra 2012 - Le foto più belle
Olimpiadi di Londra 2012 - Le foto più belle
In una parola, c’era il pop, nel senso più alto del termine: la cultura popolare, quella della quotidianità con le sue eccellenze, quella cultura che riunisce nella semplicità di uno stadio atleti di decine e decine di nazionalità diverse.

Sì, certo, erano tutti racchiusi all’interno di una gigantesca Union Jack, la bandiera britannica che campeggiava all’interno dell’Olympic Stadium e che si evolveva e viveva cambiando colori e destinazione d’uso (una volta passerella per le modelle, un’altra per l’incontro fra Brian May e Jessie J, teatro della rappresentazione scenica della quotidianità britannica o palcoscenico per il balletto della fenice) il difetto di queste manifestazioni è che sembrano sempre un po’ troppo nazionaliste. Però gli inglesi hanno dimostrato anche di non prendersi troppo sul serio e di saper usare l’arma dell’ironia e dell’autoironia per sdrammatizzare.

La sapiente alchimia di tutti questi ingredienti ha reso anche questa cerimonia di chiusura uno spettacolo ben riuscito.

Adesso, però, la festa è finita. Anche per le tv. Sky ha dato una prova di forza muscolare fuori dall’ordinario. La Rai, limitata nei mezzi e nella disponibilità, si è difesa come ha potuto e spesso si è difesa male (proverà a riscattarsi in qualche modo con le Paralimpiadi che iniziano il 29 agosto). E’ tempo, insomma, di ritornare all’ordinario.

Nel farlo, però, concediamoci – non c’è proprio nulla di male – un po’ di quel gusto pop che ci hanno lasciato i padroni di casa dei Giochi. Emozioniamoci per qualche oro o per qualche gesto atletico, gioiamo per qualcosa di epico o di tragico, per qualcosa che genera emozioni, appunto. Fra poco, ahinoi, ci toccherà tornare ad una tv senza olimpiadi. E comunque vada, sarà peggio. Perché non sarà pop: sarà sempre più trash.