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Alberto Angela a TvBlog elogia la Rai: “Solo in Italia la tv pubblica fa divulgazione in prima serata”

Il giornalista e conduttore di Ulisse a TvBlog spiega le regole per divulgare in modo efficace in tv la cultura

pubblicato 16 Aprile 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 05:36

A margine della presentazione alla stampa dei 6 dvd intitolati ‘Alla scoperta del Vaticano’, in edicola da oggi, 16 aprile 2014, con il quotidiano La Repubblica (c’è anche la collaborazione di Rai Eri), TvBlog ha incontrato Alberto Angela, conduttore dei documentari in questione. Al giornalista, tornato da sabato scorso su Rai3 con Ulisse, abbiamo rivolto alcune domande provando a capire come si possa oggi fare divulgazione sulla tv generalista.

Come è cambiato nel corso degli anni Ulisse dal punto di vista tecnologico e delle richieste del pubblico?

Cerchiamo sempre di stare al passo con i tempi, ma senza usare una tecnica solo perché alla moda. I ritmi della televisione sono cambiati. Tecnologicamente bisogna essere sempre pronti a cogliere le novità, anche a livello di tecniche di riprese; ora, per esempio, ci sono i droni. Bisogna cercare di capire cosa può essere utile per il pubblico e bisogna sempre chiedersi quanto e a cosa può servire una determinata tecnica. Noi usiamo i dolly e i bracci, da tantissimi anni, perché dà a casa l’impressione di vedere il luogo a tre dimensioni.

Ad ottobre scorso suo padre, Piero Angela, spiegò come la televisione divulgativa non dovesse essere mirata solo ad una nicchia di pubblico, ma fosse necessario uno sforzo per inserirla in un contesto più popolare. È d’accordo? E dal punto di vista del linguaggio questo sforzo come si può concretizzare?

Bisogna usare i contenuti da esperto e il linguaggio da persona comune. Questo è l’abc della divulgazione: cercare di raggiungere persone non parlando in modo difficile. Le ricette scritte dal medico sono illeggibili, ecco, bisogna evitare queste cose. Usare termini semplici, smontare qualcosa di complesso con esempi alla portata di tutti. La divulgazione non serve solo a spiegare qualcosa, ma anche a proiettare come un trampolino una persona in un ambiente, in un’epoca, in un tema; è importante rendere familiare qualcosa che non lo è. Bisogna dare l’impressione di parlare ad un parente che non conosce la materia in questione. Bisogna avere il coraggio di fare esempi, ma non banalizzazioni. Le nuove tecniche possono aiutare in questo senso, ma non devi usare la scienza per fare spettacolo, bensì lo spettacolo per fare scienza. Devi usare il dolly o la grafica computerizzata per spiegare cosa è l’entropia o come sta in piedi una basilica. Rispetto a prima i ragazzi oggi sono più smaliziati e tecnologici e quindi più aperti alle tecniche. L’importante è fare esempi: se io racconto che in Vaticano fino a pochi mesi fa c’erano bancomat in lingua latina, certo fa sorridere, ma fa capire che c’è un mondo in cui si parla ancora il latino.
Insomma, la mia tecnica è: entrare nei luoghi e spiegarli come se fossi uno di voi, perché io stesso non so molte cose, devo essere sincero.

Ulisse va in onda il sabato sera. È un svantaggio, una stranezza o cosa?

È una tradizione di Rai3.

Che subisci o che apprezzi?

È una bella sfida perché il sabato sera il tuo pubblico non c’è, è uscito. Diventa un pubblico diverso, da conquistare. Nel caso di Ulisse, ci riusciamo, perché cambiamo ogni volta tema.

Esiste la necessità di contaminare i generi televisivi, portando per esempio un contenuto scientifico all’interno di un contesto popolare, ad esempio il Festival di Sanremo? Ed ancora: ti trovi più a tuo agio quando vai ospite in trasmissioni ‘culturali’ o ‘popolari’?

Mi sento a mio agio in entrambi i casi. Nel contesto popolare sento che c’è molta curiosità. Parliamoci chiaro: noi siamo una delle poche realtà europee e mondiali ad avere una rete pubblica che fa divulgazione in prima serata. Trovatemene un’altra che il sabato sera fa la stessa cosa. Non ce ne sono. Certo, sul satellite ci sono i canali specializzati, ma io parlo di reti pubbliche e generaliste. Il nostro pubblico è trasversale, non è di amanti della storia o dell’arte; riusciamo a colpire anche persone che non andrebbero mai a vedere un museo. E per farlo proponiamo un piatto nuovo che piace, usando anche un loro linguaggio. Noi facciamo anche delle ricostruzioni in fiction – ci sarà a breve una puntata su Augusto – che è un linguaggio accessibile a tutti. È come essere un cuoco: deve usare gli ingredienti giusti, ma molto comuni, cucinarli e alla fine il piatto può piacere.