Home Braccialetti rossi Braccialetti rossi, sospesi tra i momenti “pucci pucci” ed un ritratto giovanile inedito, in cerca dell’effetto nostalgia di Amico Mio

Braccialetti rossi, sospesi tra i momenti “pucci pucci” ed un ritratto giovanile inedito, in cerca dell’effetto nostalgia di Amico Mio

Braccialetti Rossi ha numerose scene che puntano ad emozionare i telespettatori, ma anche personaggi giovani che non sono troppo lontani dalla realtà, cercando di divertire

pubblicato 26 Gennaio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 09:02

Vedi “Braccialetti rossi” e pensi a Massimo Dapporto. Non è un’associazione di idee a caso, ma chi ha ricordi della fiction Rai degli anni Novanta non può non paragonare la serie tv di Raiuno ad “Amico Mio”, la prima serie che raccontava la vita dei giovani in ospedale provocando lacrime e sorrisi.

Se in “Amico Mio” la storia girava su un dottore (Dapporto) ed un paziente (Spillo), qui il dottore è diventato una dottoressa (Carlotta Natoli) ed il paziente si è moltiplicato per sei. Si allargano i punti di vista, le possibilità narrative, ma il rischio melassa resta sempre in agguato. Perché “Braccialetti rossi” non vuole poggiarsi sulle storie di ragazzi malati, ma il limite oltre il quale si rischia di scatenare fiumi di lacrime al di là della trama è labile.

Questo limite, a dire il vero, a volte si sorpassa, con alcune scene scritte chiarmente per tenere davanti allo schermo il pubblico in cerca di emozioni più facili e momenti “pucci pucci” (l’ “ultimo ballo” che Vale -Brando Pacitto- vuole fare con Cris -Aurora Ruffino- il giorno prima dell’intervento con le note di Laura Pausini; o la scena al rallentatore in cui Vale porta il braccialetto del titolo alla ragazza). Perché la fiction è chiaramente rivolta ad un pubblico giovane ma, essendo su Raiuno, si deve strizzare l’occhio anche alle famiglie, ai più grandi, altrimenti il rischio di bissare un flop come quello del concerto di Jovanotti sarebbe alto.

D’altra parte, “Braccialetti rossi” regala dei dialoghi molto meno melensi rispetto alla solita fiction Rai: ragazzi che dicono parolacce, che puntano le ragazzine della loro età, che sfidano i grandi, avvicinano di più il racconto alla realtà ed ad adolescenti che spesso in tv sono trattati o come fessi o come drogati.

Raiuno vuole svecchiarsi, ma soprattutto vuole puntare su una storia che sia diversa dalle altre, tant’è che il rischio più grosso di una produzione come questa non sta tanto nel realismo dei fatti raccontati o dell’ambientazione (un ospedale del genere, in Italia, è un sogno) quanto nel risultato dell’auditel. Se domani “Braccialetti rossi” non dovesse portare buoni numeri, si tornerebbe alle fiction in costume, più rassicuranti ma meno sperimentali.

Sebbene sia un remake e quindi non un’idea del tutto originale, “Braccialetti rossi” ha il merito di portare in tv una storia furbetta ma che resiste alla tentazione di mandare tutto allo sbaraglio, preferendo la più sdolcinata trama sentimentale e la sensazione che andrà tutto bene. Qui, si riesce a ridere (azzeccatissimo il personaggio di Toni -Pio Luigi Piscicelli-) a battute non banali, in un mix di commedia e drama che fa dimenticare che i protagonisti sono “solo” ragazzini.

Ai giovani protagonisti di questa fiction va il merito di aver creduto nei loro personaggi, ma non fino al punto di farsi ingannare dalla recitazione forzata di alcuni loro colleghi adulti, portando in tv un’interpretazione sincera che empatizza con i telespettatori più di quanto facciano attori più collaudati in fiction più costose.

Se avete tirato fuori il fazzoletto, quindi, non sentitevi eccessivamente emotivi: “Braccialetti rossi” ha compiuto la propria missione, anche se parlare di equilibrio perfetto tra sentimento e humor potrebbe essere esagerato. Intanto, il fatto che abbia ricordato a molti Dapporto e Spillo ed i tempi in cui guardare una fiction provocava stupore e non noia è già molto.


Braccialetti Rossi

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