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Così lontani, così vicini e l'(in)evitabile retrogusto di plastica

Il problema principale del programma condotto da Al Bano e Cristina Parodi.

pubblicato 5 Gennaio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 10:01

Così lontani, così vicini, l’emotainment condotto da Al Bano e Cristina Parodi in onda in prima serata su Rai 1, è giunto alla terza puntata andata in onda stasera, ha conquistato un target ben preciso di pubblico e ha riacceso la speranza a chi, semplice telespettatore da casa, nutre lo stesso desiderio dei protagonisti della trasmissione ossia riabbracciare parenti e amici con i quali hanno perso ogni contatto.

Se ci aggiungiamo, inoltre, i soddisfacenti risultati d’ascolto, nonostante siano stati ottenuti in un periodo di contro-programmazione pressoché nulla, bisogna ammettere che ogni obiettivo minimo è stato perlomeno raggiunto.

C’è un però. Come già scritto, Così lontani, così vicini è giunto alla terza puntata, eppure sembra già essere una trasmissione che va in onda da dieci anni.

I motivi di questa sensazione sono molteplici. Il primo è da collegare al genere della trasmissione (docureality, emotainment, factual tv e chi più ne ha, più ne metta): la proposta di programmi di questo tipo, che offrono al pubblico un preciso spaccato della realtà, è da vera bulimia catodica visto che ce n’è davvero per tutti i gusti, dalle diete miracolose ai disturbi ossessivi compulsivi, dalle donne vittime di stalking ad argomenti più leggeri come le cucine e gli alberghi da incubo risollevati da Gordon Ramsay. E in questo elenco, è possibile aggiungere molti ma molti più programmi.

Il passaggio di questo tipo di show alla generalista per eccellenza, quindi, provoca una sensazione di già visto anche se è la prima volta, sostanzialmente, che Rai 1 propone un emotainment in questa precisa veste, completamente on the road e senza studio.

Il secondo motivo, invece, è legato alla struttura del programma: il racconto è talmente ordinato, e presentato sempre nella medesima forma, al punto da rendere terribilmente prevedibili e anche un po’ stucchevoli i racconti successivi. Il problema non è il lieto fine sicuro e annunciato, tutt’altro, ma la schematizzazione eccessiva che si ripresenta puntualmente. Cambiano i contenuti (a volte neanche quelli) ma il tutto sembra davvero già una replica, nonostante sia in realtà una prima tv.

Il terzo motivo, infine, è legato all’immancabile, ed evitabilissimo, retrogusto di plastica tipico, ahinoi, di quasi tutti i programmi di questo genere. La necessità di dare una veste più televisiva possibile al racconto, infatti, produce il fastidioso risultato di assistere quasi a brevi sprazzi di sit-com nel bel mezzo di una storia che, magari, sta anche scorrendo fluida.

In breve, vedere i protagonisti che accolgono Al Bano in casa e assistere sempre ai protagonisti che annunciano ai famigliari le liete notizie portate dal cantante pugliese sembra quasi una presa in giro.

Non si sta mettendo in dubbio la veridicità dei racconti, anche se una storia vista nella terza puntata (Alessandra, donna che, soltanto dopo molteplici tentativi di ricerca complicatissimi, è stata trovata su un social network!) ad esempio, lasciano qualche quesito in sospeso.

E non ci soffermiamo neanche sul primo piano del cartello stradale di benvenuto di Cellino San Marco, con la scritta Città del Vino ben visibile, altrimenti poi uno passa per malizioso e malpensante.

La soluzione a questi problemi sarebbe, comunque, sempre e una sola: togliere la plastica, grazie.