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Flop. Il coraggio di dirlo

La tv generalista appare sempre più impreparata a fronteggiare la frammentazione degli ascolti. E i flop avanzano.

pubblicato 7 Ottobre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 03:01


Me lo dicono tutti è un flop. Star Academy è un flop. Qui Radio Londra è un flop. E, a giudizio del sottoscritto, sono pure tre programmi brutti e inutili. E’ brutto e inutile pure Baila!, che per dire se sia definitivamente flop o meno ha “bisogno” di una terza puntata. Blog – La versione di Banfi è un flop (non l’ho visto, e mi limito ad analizzare i nudi numeri).

E’ “violento”, iniziare un pezzo così? Qualcuno si arrabbierà? Pazienza. Meglio così che improbabili acrobazie per difendere l’indifendibile. Se volete, potete elencarli anche voi, i flop. Senza paura. Io mi limito a questi cinque, perché rendono l’idea, attraversano indistintamente reti e produzioni e scontentano tutti. Ma possiamo andare a pescare anche in altre reti e realtà, non c’è problema. Perché le cose vanno dette così come sono, senza sudditanza e senza far favori. E, sì, lo so bene che ci sono persone che lavorano, nei programmi di cui sopra. Ma il lavoro di chi scrive di televisione è quello di far notare quel che va e quel che non va. Se si accettano i complimenti, dunque, si accettino di buon grado anche le osservazioni che vengono dall’oggettività che la tv si è scelta insieme ai pubblicitari: i dati Auditel.

Poi ci sono i gusti. Me lo dicono tutti non ha mai passato – complice il format e il conduttore – la soglia del varietà di vent’anni fa. Star Academy sarà anche il papà di tutti i talent (come dice lo spot) ma non funziona e sembra il surrogato di X Factor messo lì non si sa perché. Di Baila! s’è già detto di tutto e non c’è bisogno di aggiungere altro. I tre programmi hanno in comune, fondamentalmente, il non saper dire nulla di nuovo. Ma proprio nulla. Hanno in comune anche la straordinaria somiglianza con altri programmi già andati in onda. Quanto a Qui Radio Londra, ora qualcuno penserà – come al solito – a un fatto meramente politico. Ma non è così: non si vede proprio per quale motivo RaiUno dovrebbe mandare in onda il pensiero unico di un giornalista a senso unico che non ha mai al fianco un contraddittorio e che non si sforza minimamente di fare del giornalismo ma si limita a proporre il suo pensiero unico come se fosse una verità assoluta. Di La versione di Banfi non posso dir nulla per esperienza diretta, come detto. Ma se fa 3,21%, 3,45%, 3,84%, be’, qualche problema ce l’ha.

I flop. Visto che sono figli di una serie di decisioni che coinvolgono tutta la piramide delle tv, sogno, personalmente, staff autoriali e creativi, tecnici, conduttori, produttori, dirigenti, direttori di rete, amministratori che ammettano gli errori e che li utilizzino come base per fare meglio. Per essere hungry and foolish, visto che va di moda dirlo, in questi giorni. Ma dove sono gli hungry and foolish, sulla generalista?

I cinque esempi che ho citato, consentono di fare un discorso un po’ più ampio.

Fatti salvi alcuni marchi inossidabili (ne cito due a caso dal prime time, fra quelli che funzionano: Don Matteo, per esempio, in casa Rai, e C’è posta per te in casa Mediaset. Li cito ben sapendo che il primo non è il mio genere di fiction e il secondo non è il mio genere di intrattenimento) che fanno bene o comunque reggono all’urto di un pubblico televisivo che cambia, la frammentazione, il digitale terrestre, il satellite, hanno modificato la logica degli ascolti e i numeri ad essi associati. La generalista si fa tremar le ginocchia e sembra assolutamente inadeguata a reggere il passo, a modificarsi, a proporre qualcosa di nuovo. Il problema è che certi marchi inossidabili hanno creato l’illusione che cio chè è vecchio e ha funzionato, funzionerà sempre. Toccherà mettersi in testa che non è così.

E cominciare ad ammettere quando un flop è un flop. Anche perché è stata la tv stessa – chi la fa, chi comunica per conto di chi la fa – a utilizzare lo share come marchio di successo per i programmi “che valgono”. La cosa ha un contraltare: se vai male in termini di share, allora “non vali”. E’ mera logica. A meno che non si ritorni al caro vecchio: “la guerra degli ascolti non conta”. Che sa sempre di giustificazione preventiva e ricorda il verso che fa la volpe quando rinuncia all’uva. Gli ascolti, per chi fa tv, contano eccome. E allora, se da un lato la frammentazione dei canali frammenta anche il pubblico, dall’altro è evidente che la generalista, per adeguarsi, dovrebbe variare l’offerta.

Tenersi i programmi che funzionano e continuano a funzionare. Innovarli. E sperimentare sul serio, non a parole. Non lo sa fare. E allora, di che ci si lamenta, se uno dice flop?