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TvBlog fa il tema di maturità sulla fama effimera

TEMA DI ATTUALITA’ “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”: il candidato, prendendo spunto da questa ‘previsione’ di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla “fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di “fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent show) o diffuso dai social media (Twitter, Facebook, Youtube, Weblog,

pubblicato 22 Giugno 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 05:30


    TEMA DI ATTUALITA’
    “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”: il candidato, prendendo spunto da questa ‘previsione’ di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla “fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di “fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent show) o diffuso dai social media (Twitter, Facebook, Youtube, Weblog, ecc).

Magari fossero solo 15 minuti di ufficio, perché poi il sipario si chiuda. E’ lo stillicidio prolungato della fama a tutti i costi che ci sottopone tutti a una mostruosa Metamorfosi in tempo reale, degna di far impallidire Gregor Samsa. Il nuovo millennio si è aperto con la dittatura commerciale del Grande Fratello, che da apocalittico vaticinio orwelliano si è trasformato in un mercimonio obbligato della propria identità. Obiettivo: cambiare vita, svoltare economicamente, bruciare le tappe per una carriera artistica nel mondo dello spettacolo anche senza averne le capacità.

Per trovare la propria strada non è più necessario impegnarsi a scuola, coltivare delle sane aspettative e seminare nel lungo periodo. Bisogna buttarsi nella mischia, apparire e farsi apprezzare per quello che sei, piacere al pubblico. Così ex concorrenti spiati senza soluzione di continuità si assicurano un futuro da conduttori, inviati, persino da attori, anche se non hanno mai studiato recitazione o hanno una pessima dizione.

I nuovi divi dell’oggi sono i corpi oliati da calendario assurti a celebrità del cinema, come Luca Argentero, mentre la reincarnazione post mortem del James Dean italiano diventa Pietro Taricone, il palestrato di provincia che trova in tv un nuovo diritto di cittadinanza, nonché la grande occasione del riscatto sociale.

Oltre al reality, lasciapassare obbligato per una fama effimera è il mondo del gossip. Sdoganati in principio dalla televisione, che pur li getta via alla prima occasione, è sui settimanali dai contenuti frivoli che interi personaggi costruiscono una duratura riconoscibilità, pur mai sorretta da effettivi meriti. I direttori dei giornali, complici di un mercato la cui parola d’ordine è vendere, diventano spesso complici di scoop fasulli, dove il testo è pura didascalia perché ciò che conta è il servizio fotografico a tutta pagina.

Giornalista e cronista d’assalto, ormai, sono una cosa sola, al punto che l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona, al centro di svariati scandali anche dalle ripercussioni giuridiche, è diventato editore di un giornale a uso e consumo dei suoi interessi personali, Corona Star’s. Nelle sue pagine, infatti, può celebrare la fidanzata-showgirl del momento Belen Rodriguez, sparando a zero su tutte le sue rivali. Il celebre titolo di un film lo chiamava “Quarto potere”.

Così sono stati alimentati fenomeni come Costantino Vitagliano, il re del nulla che, per essersi fatto corteggiare in tv seduto su un trono, non solo ha sdoganato la parola “tronista” sul dizionario, ma ha dato il via al business delle ospitate: diecimila euro all’ora in discoteca, per farsi guardare mezzo nudo e firmare qualche autografo. Dopo di lui sono arrivati i plotoni degli ex di personaggi famosi, persone comuni che scambiano scandali con interviste, l’anonimato con una visibilità a tempo di record. Dalla loro hanno un aspetto fisico invidiabile, che hanno coltivato maniacalmente confidando che un giorno sarebbe servito a elevarli a star.

E’ l’invasione carnale dei corpi, che trasuda dal romanzo Troppi paradisi di Walter Siti, fenomenologia monumentale del tema qui oggetto di analisi, a “significare” la nuova condizione umana nella civiltà dei media. Se il professore in questione adotta per lo più un’ottica maschile, aprendo nuove prospettive sociologiche sulla vanità dell’uomo sotto i riflettori, dà più scandalo la recente campagna femminista contro la televisione condotta da Lorella Zanardo.

Con il suo saggio “Il Corpo delle donne”, che ha animato i dibattiti di intere pagine di giornali oltre che di svariati talk show, l’autrice stigmatizza il ruolo puramente decorativo, nonché discriminante, della valletta televisiva. In particolare, si scaglia contro il ruolo della “velina” in un programma quotidiano, rivolto a tutta la famiglia, come Striscia la notizia. Quasi sempre muta, ammiccante davanti alle telecamere, nonché soggetta a inquadrature piuttosto “sfacciate”, fare la velina è il sogno di molte ragazze italiane.

Ma l’immagine non è solo nudità, bensì anche confezione. L’esteriorità ha talmente preso il sopravvento sul concetto, che nella stessa formazione odierna dilagano Master sulla comunicazione visuale, come se l’intero sapere fosse una lingua morta. I bocconiani conoscono raramente l’uso delle subordinate e parlano per slogan, perché quando lavoreranno nel marketing l’hic et nunc sarà il loro credo.

E’ sul web che l’eterna atavica lotta tra contenente e contenuto vede a confronto due mondi espressivi contrapposti: Youtube e il blog. Laddove il primo nasce come aggregatore di video fatti dagli utenti di qualsiasi parte del mondo, il secondo è la declinazione virtuale del diario. Nel primo ci metti la faccia, nel secondo i tuoi pensieri, con la possibilità che i due mondi possano interagire tra loro a colpi di “condivisione” e post che includano video e testo insieme.

Alla blogosfera si deve, senza dubbio, l’essersi riservata uno spazio di innovativa criticità in una stampa sempre più paludata, diventando quindi vetrina per talenti della scrittura che – in un giornalismo altrettanto pieno di “veline” – non avevano possibilità di esprimersi e farsi conoscere. Ma arriva un punto in cui lo stesso blogger, per essere conosciuto e riconosciuto, ha bisogno di farsi vedere: basti pensare all’esperienza di Zoro, che grazie alla sua rubrica di satira politica su Youtube è stato scoperto da RaiTre e quindi “assunto” nel programma Parla con me.

In una tv sempre più invasa da raccomandazioni e che non ha il coraggio di sperimentare, Youtube supera il suo handicap amatoriale per diventare “talent factory”. Nascono, così, le webstar, per lo più giovanissimi che si inventano qualcosa di nuovo e si confrontano quotidianamente con il web per migliorare. Alcuni rivelano un potenziale artistico talmente brillante da diventare oggetto di investimento da parte di tutti i media, compresa la radio sempre a caccia di speaker originali.

Peccato, solo, che anche per farsi notare su Youtube la trasgressione prenda il sopravvento sulla preparazione: quel che conta non è un italiano forbito, o un bagaglio culturale valido, ma una gag riuscita, un’iniziativa “di grido”, con qualche caduta di stile come scaccolarsi davanti alla webcam per far sghignazzare il ragazzino medio. Insomma, non è tutto oro quel che luccica su Internet.

Non a caso, il linguaggio sintetico sino al patologico degli sms si traduce in codice di interazione sui social network. Nato come strumento di comunicare tra ex compagni di scuola, Facebook è diventato un’altra facile via di accesso alla gente che conta. Il fan può adorare il proprio idolo dimostrandoglielo, e aiutandolo a fare a gare di popolarità con i suoi rivali, a colpi di “mi piace” e di campagne denigratorie della concorrenza.

Così il divo potrà presto ricompensare il suo ammiratore, facendolo accedere alle sue attività, passandogli i contatti giusti, inserendolo a sua volta nel “sistema”. Il vecchio mecenatismo dei tempi di Augusto si applica, così, al concetto di amicizia su Facebook: un “do ut des” che può farti arrivare più lontano dei tuoi studi.

D’altro canto i “cinguettii” di Twitter vedono i vip abbattere il tramite della stampa per fare comunicazioni ufficiali. Sono direttamente “i famosi” ad anticipare novità sulle loro carriere professionali e a smentire false indiscrezioni, avvicinandosi così al loro “pubblico”, diventando “primi inter pares”. Non c’è più gerarchia nell’era ‘social’: chi è famoso davvero lo diventa un po’ meno e chi è un “nip” si sente a suo modo vip, nell’interagire con chi prima vedeva solo su uno schermo.

Se, poi, tutte queste possibilità non sono riuscite, c’è un’altra soluzione estrema per finire alla ribalta: trovarsi coinvolto in un caso di cronaca nera. Lo strapotere mediatico dei delitti di Avetrana e di Melania insegna: i familiari sono prima intervistati e poi indagati. Sono loro le nuove star, contese dai conduttori dei programmi che fanno “informazione spettacolo” con indici di ascolto enormi.

Il pubblico si affeziona talmente morbosamente a loro da dimenticare che c’è un omicidio in ballo. Così intorno alle loro case, costantemente assediate dai reporter, si creano dei veri e propri tour di curiosi, che vogliono conoscere dal vivo “lo zio Michele” e vedere il suo giardino come se fosse un personaggio da reality.

Intanto questo circolo vizioso comincia a mietere le prime vittime: Lele Mora, storico agente vip entrato nell’immaginario collettivo, è stato appena arrestato per bancarotta fraudolenta. Con lui un impero di vippetti dalle ore contate inizia a sgretolarsi. Che si accontentino del quarto d’ora, una buona volta.