Home Simona Ventura Venezia 2010 e Tv: La nostra è una Tv sopra le righe, dice Sofia Coppola

Venezia 2010 e Tv: La nostra è una Tv sopra le righe, dice Sofia Coppola

Naturalmente Sofia Coppola, alla Mostra con il suo Somewhere, è stata intervistata sulla tv italiana. Nel film, che ha suscitato simpatie e riserve, c’è una parte in cui viene presentata in modo grottesco una serata dei TeleGatti, alla quale partecipa il protagonista della pellicola nei panni di un attore venuto dalla California per riscuotere il

pubblicato 4 Settembre 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 13:07

Naturalmente Sofia Coppola, alla Mostra con il suo Somewhere, è stata intervistata sulla tv italiana. Nel film, che ha suscitato simpatie e riserve, c’è una parte in cui viene presentata in modo grottesco una serata dei TeleGatti, alla quale partecipa il protagonista della pellicola nei panni di un attore venuto dalla California per riscuotere il premio.

Lo introducono Simona Ventura e Nino Frassica, tra facezie e papere, poi il premiato viene subito circondato da un corpo di ballo. Risparmio la descrizione. A questi show siamo abituati. In proposito la Coppola ha detto di avere conosciuto una serata dei TeleGatti accompagnando il padre, il celebre Francis Ford. Quando le hanno chiesto cosa pensa della nostra tv in generale ha risposto che la tv italiana è “molto peculiare, diversa da quella americana, va sopra le righe”; poi ha aggiunto che certi show assomigliano a quelli di Las Vegas, ovvero alle esibizioni sguaiate dei teatri dei casino; e infine ha concluso sostenendo che non tutto è trash qui da noi. Siamo d’accordo con lei. Anche perché per certa tv a caccia di auditel e di richiami pubblicitari tutto il mondo è paese.

In effetti Venezia, se da una parte c’è “Somewhere”, dall’altra ci sono produzioni che mostrano le molte facce di un cinema che si contrappone alla tv, neanche la cita, la sfugge come avesse la peste. Vorrei citare due esempi. Un film venuto dalle sterminate terre russe, da un luogo in mezzo a tante bellissime pianure irrorate da bellissime acque di fiumi e di laghi, intitolato Ovsyanki (Silent Souls) di Fedorchenko.

Il regista, rifacendosi a un romanzo, realizza un’opera che fino a questo momento sembra avere le carte in regola per puntare ad un premio importante. Immagini che non scorrono via, la voce del narratore potente e sommessa, la storia che descrive una pratica di Merya, terra dove vive con tradizioni antichissime una tribù ungro-finnica.

La tribù non seppellisce i suoi morti nel cimitero ma li brucia e poi consegna i resti alla grande madre acqua. Il rito viene ripetuto per la scomparsa di una donna per mano di chi l’ha amata con un trasporto indicibile e di un suo amico. Sarebbe inutile andare oltre, persino deviante, raccontare quel che avviene e tentare di avvicinarsi in righe come queste, solo un primo commento, a un pulsare di ansia, di vita e di nostalgia che diventa film.

Nessuna commedia, nessuna parodia, nessuna voglia di stupire e di coinvolgere con scene azzardate, ma brividi che si accumulano a poco a poco, sconcertando, spiazzano e restano dentro. Una scarna luce poetica illumina l’ecumenismo festaiolo che si stende nelle brulle campagne russe, campagne che trasmettono sentimenti estremi, cose dell’altro mondo, o meglio di mondi che conosciamo poco o nulla.

Altre emozioni mi sono venute del film firmato da John Wood, Leone d’oro alla carriera, e da Su Chao-Pin, “Jianyn” (Reign of Assassins). Un musical. Beh, non proprio. La trama ci sposta indietro nei secoli nella Cina dei mandarini. Una setta di criminali, la Pietra Nera, vive guerre intestine per la scelta fatta della donna-criminale più brava sulla piazza di sposare un tipo qualunque (poi si scoprirà che non lo è per nulla).

Duelli di tutti i tipi. Tra spadaccini in parte anche eunuchi o impotenti che nella spada mettono ogni energia, ogni erezione fisica. Dice una battuta: “la debolezza si vince con l’abilità”, cioè la tecnica e gli ardori delle lame sono una risorsa assai importante ma l’amore, la felicità, il possesso di un donna sono meglio. Ho detto musical perché i duelli, su musiche potenti o struggenti, sono una vera e propria tessitura. Mi hanno ricordato certe scene di “Cantando sotto la pioggia”, anche perché duelli e sospirati sogni d’amor carnale o si svolgono sempre sotto la pioggia, o bagnata o di misteriose polveri nell’aria. Insomma, un film omaggio a John Woo e al suo occhi rapido come un colpo di arma bianca.

E la tv macina i suoi palinsesti senza novità, senza coraggio.

Se volete leggere la recensione di Somewhere, direttamente da Venezia, vi rimando su Cineblog.

Simona Ventura