Home Notizie VENEZIA E TV: e se la tv fosse già morta?

VENEZIA E TV: e se la tv fosse già morta?

Riprendo il filo sulla Mostra Venezia 67. Andrò, come ho detto. Per vedere cinema e tv, o meglio come la tv abbia influenzato, stia influenzando, il cinema, e viceversa. Faccio solo un titolo per capirci: il film “Millionaire” in cui un ragazzo indiano vince al quiz non perchè conosce le risposte ma perchè le stesse

pubblicato 29 Agosto 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 13:17

Riprendo il filo sulla Mostra Venezia 67. Andrò, come ho detto. Per vedere cinema e tv, o meglio come la tv abbia influenzato, stia influenzando, il cinema, e viceversa. Faccio solo un titolo per capirci: il film “Millionaire” in cui un ragazzo indiano vince al quiz non perchè conosce le risposte ma perchè le stesse risposte gli vengono dall’aver vissuto una vita scandita dalla tv, dai suoi personaggi, dai suoi riti.

E’ una metafora, quella del film, che si presta bene a indicare il segreto passaggio dalla vita alla tv e dalla tv alla vita, con il cinema come spettatore o creatore di racconti. Una stagione che sta per finire.

Detto questo, vado al sodo. Alla Mostra sono in programma molti documentari che devono qualcosa, anzi più di un qualcosa, alla tv: “1960” di Gabriele Salvatores; e altri che scaturiscono da una certa vivacità che ancora caratterizza il mondo dei doc, dopo gli exploit di Michael Moore e dai risultati non certo da exploit da noi di “Videocrazy” di Gandini e di “Viva Zapatero” della Guzzanti, questi altri sono “Ma che storia” di Pannone (in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia) e “Ward 54” di Monica Maggioni, uno speciale della giornalista Rai. L’elenco potrebbe continuare con citazioni di vario tipo. Vedremo come, e quali commenti meritano, nei prossimi giorni.

Due cose mi stanno sulla punta della lingua. Il fatto che da anni la Mostra fa avvicinamenti, lenti, cauti, spesso orientati dalle centrali televisive, verso i documentari e la televisione non fiction. Prova di una scarsa fiducia. Eppure, come si ricorderà, Jean Luc Godard ebbe a dire anni fa che la televisione è “quella parte di cinema che si chiama televisione”, cito a memoria. Ecco. Non ho alcuna prova, ma sono certo, che i selezionatori della Mostra non guardano le televisioni, e fanno bene nella maggioranza dei casi. Ma se non guardano cosa sanno e come scelgono i documentari? suggerimenti o soffiate di amici? raccomandazioni? interventi dall’alto o dal basso del politichese dei massmedia? risvegli da un colpo al cerchio (il cinema) e alla botte (la tv gonfia di roba)? Mi piacerebbe avere una risposta. Non arriverà. Ricomincerò con le domande, queste e altre…
La seconda cosa riguarda il modo con cui si presenta, si discute, si commenta la tv nei blog ma anche nei giornali. Una rassegnazione collettiva. Una rinuncia massiccia alla ricerca di spunti e magari di opinioni circostanziate, solo ininfluenti colpi spillo, grandi o piccole isterie contro quella che guadagna troppo o quello che sgomita o non sgomita, chissà, per andare a remare il nulla a Sanremo. Un chiasso silenzioso. Rumori di fondo. Viltà, forse. Ricorso all’insulto. Sfottò a più non posso. Botte e risposte de paura. Furie. Ammiccamenti.
Sono atteggiamenti che riguardano i commentatori anche quelli ufficiali, quelli con nome e cognome sulla targa di ottone nei maggiori giornali, persino Grasso da bulimico degli attacchi e delle malignità si inginocchia nell’anoressia del tirare campare, almeno a fine mese. Ma, del resto, cosa dovrebbe accadere se la, le televisioni si stanno stendendo nella lunga bara che dalla generaliste passando ai satelliti e al digitale. De profundis.
E noi? Alziamo gli occhi al cielo, dove anche l’etere indossa corone di fiori e nelle nuvole zoccolano le antenne superstiti in attesa delle pompe che non ci sono più, e sono solo funebri. Six feet under. E tre o tremila metri sopra il cielo.
Italo Moscati