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Lost, l’ultima teoria prima del finale è di Fabrizio Rondolino

Il purgatorio, un sogno, un reality: in sei anni le teorie sul significato di “Lost” e della sua Isola sono state numerose. Alcune protamente smentite da Carlton Cuse e Damon Lindelof, altre da loro stessi ritenute valevoli di considerazione, le “teorie di Lost” sono state uno dei motori principali che hanno fatto viaggiare la serie

pubblicato 21 Maggio 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 15:34


Lost Il purgatorio, un sogno, un reality: in sei anni le teorie sul significato di “Lost” e della sua Isola sono state numerose. Alcune protamente smentite da Carlton Cuse e Damon Lindelof, altre da loro stessi ritenute valevoli di considerazione, le “teorie di Lost” sono state uno dei motori principali che hanno fatto viaggiare la serie verso il successo.

Ora che mancano due giorni al series finale, si tirano le somme di quelle che potrebbero essere le teorie più valide che spiegherebbero molti misteri contenuti nelle sei stagioni. Tra queste, oltre a quella divertente -ma piena di coincidenze inquietanti- elaborata da un fumettista veronese, che associa tutta la serie ad una…penna, quella pubblicata qualche giorno fa dal giornalista ed autore televisivo Fabrizio Rondolino.

Nel suo blog (The Front Page), Rondolino cerca di spiegare il mistero di “Lost”, attribuendo un’importante scoperta ad un personaggio chiave della serie, per il quale gli autori si sarebbero ispirati ad una figura molto discussa vissuta nel Novecento. Se volete saperne di più proseguite nella lettura, (attenzione: troverete riferimenti alla sesta stagione).

Nel suo post (che trovate qui), Rondolino si focalizza su Jacob (Mark Pellegrino), il protettore dell’Isola, colui che deve trovare un sostituto al suo lavoro di difesa della “Luce” tra i naufraghi dell’Oceanic 815. Ecco cosa dice l’autore:

“Poiché gli sceneggiatori hanno più volte dichiarato che il nome di ogni personaggio è sempre reale, e che la scelta non è mai casuale, scoprire l’identità del ‘vero’ Jacob può aggiungere qualche luce al mistero. ‘Jacob’ era il nome con cui un misterioso terapeuta psichedelico, nell’America degli anni Sessanta, praticava sedute a base di LSD su pazienti affetti da disturbi di vario genere. ‘Jacob’ mise a punto un protocollo specifico, istruì e preparò decine di altri terapeuti, curò più di tremila pazienti. Soltanto molti anni dopo la sua morte, avvenuta a 76 anni nel 1988, si scoprì che ‘Jacob’ era in realtà il professor Leo Zeff, psicologo e terapeuta jungiano di Oakland, California, nonché, negli anni Ottanta, quando la sostanza era ancora legale, pioniere dell’uso psicoterapeutico dell’MDMA (Ecstasy).

Secondo Albert Hofmann, il chimico svizzero che per caso scoprì l’LSD e che morì felice a 102 anni dopo una lunga vita di ‘viaggi’, ‘Jacob’ fu ‘un pioniere e un maestro spirituale’. Secondo Stanislav Grof, un altro pioniere della psicoterapia associata all’uso degli psichedelici, e fondatore della “psicologia transpersonale”, Zeff ‘soppesò dolorosamente i pro e i contro e scelse di infrangere la legge e di assumersi la responsabilità di svolgere le ricerche e le terapie che riteneva adatte. I suoi pazienti lo hanno già assolto, ora spetta alla storia’.”

Per Rondolino, quindi, Jacob s’ispira ad un medico che, con le sue cure alternative, regalava dei trip ai suoi pazienti, che potevano così vivere in realtà diverse dalla loro. Una prova che sia proprio Jeff il riferimento degli autori di “Lost” sta in un altro personaggio dello show:

“Che si tratti proprio di ‘quel’ Jacob pare assai probabile, poiché nel telefilm l’assistente tuttofare del supremo custode dell’isola, dotato del miracoloso potere di non invecchiare mai, si chiama Richard Alpert: proprio come il braccio destro di Timothy Leary nella Harvard degli anni Sessanta, dove i due psichiatri divennero famosi (e per questo furono espulsi dalla prestigiosa università) per la massiccia “sperimentazione” di LSD con gli studenti del campus. Leary e Alpert scrissero anche un vero e proprio manuale per ‘viaggiare’ con l’acido lisergico, ispirato al Libro tibetano dei morti e non privo di qualche fascino (sul buddhismo tibetano torneremo fra poco). Alla fine dei Sessanta anche Alpert, come tutti, se ne andò in India: e lì rinacque come Baba Ram Dass, acclamato maestro spirituale nonché autore del best seller mondiale Remember Be Here Now.”

Che “Lost” sia un trip mentale in cui protagonisti sono stati portati attraverso degli esperimenti condotti nella loro vera vita dal Dr. Jacob? E’ una teoria interessante, che alla luce di queste “prove” prende sempre più consistenza. La stanza 23, quella in cui Karl viene ritrovato da Alex, Kate e Sawyer mentre gli viene fatto il lavaggio del cervello, potrebbe essere un indizio che ci porterebbe al tema della percezione della realtà, così come lo sono i flash-sideways della sesta stagione. Conclude Rondolino:

“In fondo la serie fin dall’inizio gioca con le porte della percezione, e vuole a tutti i costi dimostrarci che le cose potrebbero anche essere in un altro modo, che questo mondo e l’esperienza che ne facciamo potrebbero non essere unici, che c’è qualcosa che va al di là della superficie e che merita di essere indagato a fondo, che esiste, infine, una dimensione ‘spirituale’ della vita e delle cose che non per forza fa a cazzotti con la scienza, ma anzi armoniosamente vi si può integrare.”

Se così fosse, il richiamo all’episodio di un’altra serie cult, “Buffy”, sarebbe evidente: nella diciassettesima puntata della sesta stagione (“Di nuovo normale”) la protagonista, colpita da un demone, inizia a vivere due vite parallele. Nella prima è la Cacciatrice, nella seconda una paziente di un istituto di igiene mentale. E se fosse così anche per “Lost”?