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Rising Phoenix: la storia delle Paralimpiadi arriva su Netflix, la recensione in anteprima

La recensione in anteprima di Rising Phoenix: la storia delle Paralimpiadi, il docufilm disponibile su Netflix dal 26 agosto 2020 che racconta le storie di atleti ed atlete delle Paralimpiadi, ma anche come i Giochi Paralimpici siano diventati l’evento che oggi conosciamo, tra successi ed ostacoli

pubblicato 24 Agosto 2020 aggiornato 23 Settembre 2020 15:23

Tra gli scout c’è l’usanza di assegnare a ciascuno un “totem”, meglio noto come “nome di caccia”, ovvero un soprannome che prenda spunto da un animale per indicare determinate caratteristiche di una persona. A Bebe Vio (che ha frequentato gli scout fin da piccola), è stato assegnato il totem “Fenice Radiosa”. Un epiteto forte e fiero, che Bebe ha saputo ben interpretare nel corso anche della sua carriera agonistica di schermitrice (38 le medaglie che ha vinto fino ad oggi). Un nome così azzeccato che è quello scelto come titolo del nuovo docufilm di Netflix, disponibile dal 26 agosto 2020, e dedicato alla Storia ed ai protagonisti delle Paralimpiadi.

Si chiama “Rising Phoenix: la storia della Paralimpiadi”, appunto, porta la firma di Ian Bonhôte e Peter Ettedgui e viene distribuito nell’estate che avrebbe dovuto vedere atleti olimpici e paralimpici protagonisti dei rispettivi Giochi a Tokyo. Invece, tutto è stato rimandato al 2021.

Questo non ha impedito a Netflix di far vivere ai suoi abbonati storie di sport ed umanità che hanno dell’incredibile, raccontate da loro stessi con interviste, materiale di archivio ed immagini inedite che formano un quadro ricco di riflessioni ed emozioni.

Chi sono i protagonisti di Rising Phoenix?

In circa 100 minuti, Rising Phoenix fa viaggiare il pubblico attraverso i continenti e tramite i volti dei suoi protagonisti, atleti ed atlete che si sono distinti alle Paralimpiadi in differenti discipline: oltre all’italiana Bebe Vio, ci sono la nuotatrice australiana Ellie Cole, il campione del salto in lungo francese Jean-Baptiste Alaize, l’arciere americano Matt Stutzman, il corridore inglese Jonnie Peacock, la sollevatrice di pesi cinese Cui Zhe, il rubgista australiano Ryley Batt, lo specialista sudafricano in atletica leggera Ntando Mahlangu e la fondista americana Tatyana McFadden.

Ognuno di loro ha una storia da raccontare: c’è chi, come la nostra Bebe Vio, ha affrontato una dura malattia; chi, invece, come Stutzman, è nato senza braccia e spronato dalla famiglia a vivere una vita senza limiti; chi, come la Zhe, ha trovato nello sport il riscatto verso una famiglia che a causa della sua condizione non le dava le giuste motivazioni. Ci sono anche storie legate al passato di una Nazione, come quella di Alaize che, durante la Guerra Civile in Burundi, all’età di tre anni ha perso una gamba ed ha dovuto assistere all’assassinio della madre.

Tutti racconti accomunati da uno spirito unico: quello di non vedersi mai come vittime, ma come persone che hanno saputo affrontare i drammi vissuti a testa alta. Il che non vuol dire senza momenti di abbattimento, ma con la voglia di farcela e di dimostrare prima di tutto a sé stessi di poter realizzare i propri sogni. Emblematico, in questo senso, le parole proprio di Bebe Vio: “Se gli altri non credono in me mi va bene, ma se io non credo in me stessa allora non va bene”.

… e la storia delle Paralimpiadi

Rising Phoenix coglie l’occasione anche per raccontare come siano nati Giochi Paralimpici, la cui prima edizione si tenne a Roma nel 1960. Sir Philip Craven, Presidente del Comitato Paralimpico Internazionale dal 2001 al 2019; Xavi Gonzalez, ex Amministratore Delegato del Comitato Paralimpico Internazionale ed Eva Loeffler, figlia del dottor Ludwig Guttmann, neurochirurgo e neurologo a cui si devono nel 1948 i primi Giochi per diversamente abili a cui poi si ispirarono i Giochi Paralimpici, narrano successi e momenti di arresto in quel viaggio che ha portato, oggi, le Paralimpiadi ad essere un evento sportivo che non ha nulla da invidiare alle Olimpiadi.

Tra le testimonianze, anche quella del Principe Harry, Duca di Sussex, che ricorda lo straordinario successo delle Paralimpiadi di Londra del 2012. Un successo che rischiò di finire per essere vanificato quattro anni dopo, quando alcune difficoltà organizzative hanno messo a rischio i Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro, con il Comitato Organizzatore delle Olimpiadi accusato di aver speso anche il budget destinato alle Paralimpiadi.

La dimensione familiare dello sport

Chi è allergico ai documentari sportivi ed ai programmi sportivi in generale, troverà in Rising Phoenix una bella sorpresa. L’obiettivo del docufilm è quello di arrivare a più persone possibili e sfuggire all’etichetta di prodotto di nicchia: ci riesce, trasformando le storie di questi atleti in storie di uomini e donne e delle loro famiglie.

C’è poco spazio per raccontare i dettagli tecnici relativi agli allenamenti; Rising Phoenix, piuttosto, evidenzia la forza di volontà di chi, magari fin da piccolo, sa che vorrà andare alle Olimpiadi e che ce la farà solo tenendo lo sguardo fisso sull’obiettivo.

Se la sigla di apertura trasforma i protagonisti in statue greche, come ad imprimere le loro imprese in un Pantheon sportivo, il documentario fa ben altro. Dà voce anche alle famiglie dei protagonisti, utilizzando i filmati da loro realizzati durante le gare a cui i figli, fratelli o nipoti hanno partecipato: l’emozione di rivedere la vittoria dopo anni di fatiche si amplifica quando è mostrata tramite le immagini di chi, sugli spalti, fa il tifo sapendo cosa c’è dietro quei pochi secondi di gara.

La competizione lascia spazio alla passione ed alla fiducia in sé stessi: più che la gioia per l’ambita medaglia, Rising Phoenix lascia questa sensazione, non senza dimenticarsi, però, di sottolineare gli sforzi ancora oggi necessari per gli atleti paralimpici per ottenere gli stessi diritti degli altri atleti. Non c’è polemica, ma c’è voglia piuttosto di raccontare tutta la storia, e non solo una parte di essa.

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