Home Notizie Francesco Mandelli a Blogo: “Senza televisione si può vivere, non tornerei al successo caotico dei Soliti idioti”

Francesco Mandelli a Blogo: “Senza televisione si può vivere, non tornerei al successo caotico dei Soliti idioti”

Parla il conduttore (con Federico Russo) di Revolution, in seconda serata su Rai2 e rivela i particolari del caso trombetta a San Siro nell’ultima puntata di Quelli che il calcio

pubblicato 23 Aprile 2020 aggiornato 30 Agosto 2020 02:57

Ne ho fatto tantissima di televisione, mi piace la tv generalista, ma in questo momento le cose che mi piacciono non ci sono. Non c’è uno spazio che mi piace, uno spazio in cui dico ‘vorrei esserci’, a parte Quelli che il calcio. Comunque preferisco fare l’attore e il regista, più che la televisione. Poi, per carità, se dovesse esserci una proposta interessante, perché no, anzi, magari“. Francesco Mandelli parla così ai microfoni di Blogo, in occasione del lancio di Revolution. Storie dal futuro (da oggi, in seconda serata, su Rai2), che lo vede in coppia con Federico Russo.

Revolution è piacevole intrattenimento, è la tv che mi piace. In questo momento storico c’è molta confusione. Non parlo solo di televisione, parlo di tutti i media; social, giornali, siti, tv, è un totale chiasso. Quando ho iniziato a lavorare c’erano solo tv e giornali e quello che veniva detto – giusto o sbagliato che fosse – era più comprensibile. Adesso c’è una confusione comunicativa. Basti pensare alle 300 notizie, una diversa dall’altra, che ci arrivano in questi giorni di emergenza covid.

Cosa ha di speciale Revolution?

È un programma che ha un suo senso perché nella sua semplicità dà voce a persone che stanno facendo qualcosa davvero di importante e che stanno cercando di immaginare il futuro in campi diversi. Si leva dal chiasso di chi parla e basta, dal chiasso delle fake news, della tv, dei post su Facebook, Instagram, ecc. Sono fiero di farne parte.

Un programma anche di divulgazione…

Vogliamo fare intrattenimento, con leggerezza e ironia. Le parole pronunciate in Revolution non sono parole vuote. Il nostro sguardo è lo sguardo di uomini della strada, di osservatori che intervistano persone eccezionali. Con Federico abbiamo cercato di fare domande che avessero senso, lo spirito non è quello serioso della divulgazione, ma di una piacevole chiacchierata. La paura di commettere gaffe non l’ho mai avuta, non mi sono mai permesso di entrare in dialettica con gli intervistati. Ci siamo limitati ad ascoltare e ad usare ironia, evitando, però, che questa si mangiasse l’ospite. La battuta non viene prima dell’intervista.

Revolution. Storie dal futuro viene trasmesso quando la tv è parzialmente chiusa per coronavirus. Giusto o sbagliato?

Domanda difficile, potrei cadere in fallo. Sono dell’idea che se ci si ferma, ci si ferma tutti. Senza televisione si può andare avanti, si può vivere, senza medici no, ecco. Ma è anche vero che questo programma abbiamo finito di registrarlo a gennaio; il programma era pronto, si tratta solo della messa in onda. Quindi, è giusto prendersi una pausa in momento come questi, ma spero che la sensazione di viaggio venga percepita da chi guarderà il programma come un momento di piacevole evasione.

Sei preoccupato per il futuro del tuo lavoro?

Il pensiero ce l’ho da sempre, da quando ho iniziato a lavorare, perché in questo mondo nessuno ti dà la garanzia di quello che succederà tra due anni. Sono abituato a questa sensazione. In questo momento non voglio viverla con ansia, ma con positività e cercando di capire come cambiare rotta nel caso in cui fosse necessario. Avevo alcuni progetti prima del lockdown, continuo a lavorarci anche adesso. Mi chiedo, invece, quando ricominceranno i concerti e gli spettacoli teatrali. La tv e il cinema sono un po’ più semplici, anche se l’uscita dei film sulle piattaforme streaming è un segnale un po’… un po’ complicato. Per gli esercenti, soprattutto.

La coppia Mandelli-Russo sarà riproposta anche in futuro?

Spero vivamente di sì. Siamo amici veramente e professionalmente siamo complementari. In coppia funzioniamo di più. Ci piacerebbe fare una cosa ancora più comica, una serie tv o un film. Ci pensiamo da tanto tempo.

Nella tua carriera avverti che ti manca ancora la consacrazione da parte del pubblico generalista?

Con il film di I soliti idioti (2011-2012), ci fu un momento di enorme successo, facemmo qualsiasi cosa, Sanremo a Striscia la notizia, il Grande Fratello. Fu un momento molto bello, per carità, mi è servito. Però, è stato un momento molto caotico, esasperante. Non so se in questo momento mi piacerebbe tornarci. Non so se avrei voglia di rivivere quella fase. Per gestirla devi dedicare tutta la vita al lavoro. Non mi manca, sto bene dove sto adesso. E ci sto bene proprio perché c’è stato quel momento lì. E non sento la necessità di avere una consacrazione dal punto di vista della popolarità. Mi piacerebbe riuscire a fare sempre cose che mi piacciono. Non per forza cose grosse, ma interessanti. I Soliti idioti mi ha dato la fortuna di poter scegliere, senza avere l’ansia di dovermi far conoscere. Quello è già successo ed è stato bellissimo. Io adesso non ho la necessità di apparire, né di dimostrare di essere un numero 1. Ho la necessità di trovare un ruolo che mi piaccia, anche se di quattro battute.

A proposito di Soliti idioti, il rapporto con Fabrizio Biggio qual è oggi?

Ci sentiamo, con Fabrizio ci vogliamo bene, spero di poter tornare a lavorare insieme. Ma era giusto finirla in quel momento, per non tirarla alla lunga. La gente ancora oggi mi chiede di fare un’altra serie, un altro film de I Soliti idioti, questo significa che ci siamo fermati nel momento giusto, prima di stancare.

Il pubblico generalista forse ti associa ancora a Ruggero?

Alcuni dei miei colleghi fanno fatica, ma bisogna saper convivere col fatto di essere diventati famosi per una cosa, per una parte, per una canzone. È così. Io sono felice di avere la mia possibilità e di essere riconosciuto dalla gente per una cosa che gli ha fatto bene. Poi è chiaro che io sia e che faccia anche altro.

Per chiudere, per favore, dicci tutto della trombetta che ti hanno sequestrato nell’ultima partita giocata a San Siro mentre eri in collegamento con Quelli che il calcio…

(ride, Ndr) E pensare che io non ho mai voluto fare il provocatore nella vita reale. Allora: mi mandano a vedere la partita a San Siro a porte chiuse e la Rai mi dà una serie di gadget: una bandiera, una sciarpa e una trombetta da stadio. Il gioco del collegamento era ‘fai il tifo come un’intera curva pur essendo da solo’. Quindi suono la trombetta, ma quelli del Milan mi dicono che lo stadio è illegale dentro lo stadio. Io non lo sapevo proprio, giuro. In diretta mi sono tenuto la trombetta, faceva ridere. Fuori onda mi hanno detto che la Polizia voleva prendere il mio nome e allora ho consegnato la trombetta. Ho trovato tutto eccessivo, per una trombetta… e pensando a quello che di solito entra negli stadi.

Il telecronista di Dazn si è lamentato in diretta…

Sì, una cosa che ho trovato spiacevole e l’ho detto direttamente al cronista (Stefano Borghi, Ndr) che era lì presente. Aveva detto che era stato uno scherzo malriuscito, gli ho fatto notare che stavo lavorando allo stadio in condizioni difficili tanto quanto lui e che forse ci voleva rispettare. Non era uno scherzo malriuscito, ma un collegamento per una trasmissione televisiva. L’ho trovato un commento bullistico. Gliel’ho detto di persona, gli ho detto che forse poteva trovare modi più garbati per commentare la questione.

E lui?

Ha addotto scuse imbarazzanti, ma non voglio… lasciamo perdere.