Home Made in Napoli, Giulia Cerulli a Blogo: “Vogliamo raccontare il volto pulito del neomelodico”

Made in Napoli, Giulia Cerulli a Blogo: “Vogliamo raccontare il volto pulito del neomelodico”

Made in Napoli debutta su Real Time: abbiamo parlato con la Head of Production di Videa in attesa della messa in onda.

pubblicato 6 Dicembre 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 10:23

Una famiglia di cantanti, un trio di successo, la ricerca di nuove strade musicali, la separazione: è questo il nucleo di Made in Napoli, in onda questa sera, venerdì 6 dicembre, alle 23.00 su Real Time. Lo sfondo è quello della musica neomelodica, i protagonisti sono Nico (Iadicicco) Desideri e i suoi figli Giuliano e Salvatore, decisi a intraprendere una propria strada per le vie della trap e del rap, staccandosi quindi dalla tradizione paterna. Un numero ‘zero’ per quello che potrebbe essere il primo capitolo di una raccolta dedicata al mondo neomelodico e alle sue appendici. Ma per farci spiegare questo programma e per capire meglio quale sia l’intentio auctoris (echianamente parlando) abbiamo chiacchierato con Giulia CerulliHead of Productions di Videa Next Station, che ha ideato e realizzato il prodotto. E allora ripercorriamo con lei l’origine e  il progetto narrativo e ne approfittiamo subito per ringraziarla del tempo e della disponibilità.

Come descriveresti il programma?

Ha tutti gli ingredienti per essere una docufiction: raccontiamo la realtà senza manipolarla, ma con l’ausilio di una struttura narrativa che fa da sostegno all’idea portante, ovvero quella di portare sullo schermo le vicende di una famiglia alle prese con un momento delicato della propria vita artistica e domestica.

In effetti chi si aspetta un docureality sul mondo neomelodico rischia di rimanere deluso: in fondo questa è la storia dei figli di Nico Desideri che si separano dal padre, neomelodico di tradizione, per intraprendere un cammino musicale diverso.

Diciamo che con Made in Napoli abbiamo fatto un’incursione nel mondo neomelodico con un racconto incentrato su una famiglia e su un conflitto generazionale. La nostra ambizione, però, è quella di costruire una serie che porti in tv cantanti diversi, ciascuno raccontato in un momento speciale della propria vita personale e della propria carriera artistica. Speriamo che Discovery ci supporti e faccia suo questo progetto, ma molto dipenderà da come sarà accolto questo primo ‘esperimento’. Intanto stiamo lavorando su alcuni spunti interessanti, come la storia di una star del genere che qualche anno fa ha lasciato le scene, ma dopo aver incontrato l’amore della sua vita, che di mestiere fa il manager, non solo ha programmato le nozze per il prossimo anno, ma ha anche deciso di tornare a cantare. A questa si aggiunge anche la storia di un neomelodico siciliano e dei suoi rimpianti per aver lasciato la sua terra natale. Insomma, storie di persone prima ancora che artisti neomelodici. Ci piacerebbe individuare una cornice comune, una unità di luogo, per raccoglierle tutte.

Con Nico Desideri e i suoi figli, però, avete ricostruito un evento già successo, ovvero lo scioglimento del trio, cosa che dà inevitabilmente un sapore molto fictional e poco docu al tutto. Con le eventuali altre puntate, seguireste gli eventi o continuereste a raccontare ex post?

Ci piacerebbe seguirle nel loro farsi. Certo, qualche parte ricostruita sarebbe comunque fisiologica. Considera, però, che la storia di Nico e i Desideri non è solo ricostruzione: alcuni eventi sono assolutamente contemporanei al momento delle riprese, come tutta la parte della vita familiare dei ragazzi, seguiti e coccolati dalla madre, abituati ad avere il caffè al letto al risveglio, a non fare un passo senza i consigli dei loro genitori.

Da dove nasce questo interesse per il mondo neomelodico?

È un interesse che definirei istintivo ed emotivo per un fenomeno di grandissimo seguito in Campania e in gran parte del Sud. Mi piacerebbe riuscire a raccontarlo per quello che è, culturalmente e umanamente, mettendo da parte ogni giudizio e ogni tipo di interesse investigativo, cercando anche di guardare il fenomeno dal punto di vista di un osservatore straniero. Questo mondo ha un seguito fortissimo all’estero, non solo per le comunità italiane di expat, ma anche per il pubblico internazionale che ha voglia di questo tipo di storie.

Tornando a me, c’è un altro aspetto che mi ha incuriosito e dal quale sono sempre più rapita, ovvero l’idea di famiglia, questa dimensione di famiglia che per certi versi definirei ‘esotica’, visto che è tanto distante dalla mia esperienza. La mamma che coccola i figli ormai adulti portando loro il caffè a letto, che segue il loro look, il padre che cerca sempre di assecondarli, loro che non fanno un passo senza, in fondo, chiedere consiglio. Da una parte, quindi, hai due ragazzi moderni che guardano a un mercato contemporaneo, lontano dalla tradizione del padre, ma dall’altra sono legatissimi alle origini e alla famiglia. Anche questo è un contrasto e un conflitto interessante. E poi c’è la musica ovviamente.

Venendo al prodotto in sé, approfitto di questa chiacchierata per sollevare alcune opposizioni fatte nella recensione, come alcuni elementi della confezione: penso ai raccordi con le immagini aeree di Napoli, al tappeto musicale e soprattutto alla voice over femminile dal taglio ‘fiabesco’ tanto cara a Il Castello delle Cerimonie. Non è difficile, insomma, riconoscere nella confezione di Made in Napoli un rimando a quello che è diventato il docureality di punta di Discovery.

Noi abbiamo cercato fino all’ultimo di evitare la voice over, anche per distinguerci, ma soprattutto perché abbiamo costruito il racconto perché non fosse necessaria. Alla fine abbiamo cercato un compromesso tra la nostra idea di racconto, le richieste del gruppo e anche le caratteristiche dei protagonisti.

Il rischio, però, è che tra tanti compromessi il racconto si indebolisca …

Io spero che, al di là di qualche somiglianza di confezione, il pubblico riconosca la nostra marca distintiva, ovvero la delicatezza, la scelta di non forzare in nessun modo situazioni e personaggi, limitandoci a riportare sullo schermo la vita dei protagonisti. Nessuna concessione al folklore anche là dove l’etichetta ‘neomelodico’ avrebbe potuto portare a spingere l’acceleratore su certe esagerazioni che spesso si legano al fenomeno, ma non c’è nessuna intenzione di ridicolizzarli. La nostra idea è che la gente possa essere anche stanca di tutto questo ‘eccesso barocco’, per cui abbiamo cercato di mediare tra i desiderata del canale e la nostra visione di racconto, rivolta a una maggiore realtà e una maggiore sobrietà.

Io però insisto: difficile trovare la sensazione di realtà nella ricostruzione, talvolta davvero smaccata, di alcune situazioni. Capisco la necessità di ricostruire ex post, ma la scena di uno dei due fratelli che lascia la ragazza con una telefonata nell’auto parcheggiata sotto casa, con la nonna affacciata non rende quell’intenzione di realtà ricercata con la chiave docu….

Diciamo che abbiamo provato a mescolare due linguaggi come abbiamo già fatto con Casamonica – Le mani su Roma, realizzato per il ciclo Nove Racconta: lì abbiamo unito il codice dell’inchiesta pura e quello della narrazione tout court per poter sostenere due puntate da un’ora e mezza e credo che ci siamo riusciti, nonostante i timori della vigilia. Anche in questo caso abbiamo cercato di andare oltre i linguaggi consueti e i generi canonici: il prodotto nasce per essere una contaminazione. Speriamo che piaccia al pubblico.

In questo senso ci sono diversi rischi: l’abitudine a un consumo e anche il fatto che questo Made in Napoli si presenti come un one-shot: anche questi sono fattori che nella valutazione di un ascolto devono poi essere presi in considerazione. L’idea è comunque quella di realizzare una serie ‘antologica’, di storie autoconclusive, giusto?

Sì. Come dicevo all’inizio ci piacerebbe raccontare personaggi diversi, storie diverse, momenti di crisi e di trasformazioni diverse e ci piacerebbe trovare una cornice narrativa adeguata, un’unità di luogo nella quale far avvicendare i vari protagonisti. La storia di Nico & i Desideri è in sé conclusa, anche se il finale aperto potrebbe far pensare a un sequel. In realtà la curiosità per noi potrebbe essere quella di seguire Nico nella prosecuzione della sua carriera neomelodica classica: lui è una potenza ed è anche una persona estremamente generosa.

Come mai avete scelto Nico Desideri e i suoi figli e quanto sono durate le riprese?

Ci siamo guardati intorno, abbiamo valutato un po’ di storie e questa vicenda di famiglia, come ti dicevo, ci ha colpito. Ci sono stati una serie di incontri preliminari tra maggio e giugno, nei quali si sono raccontati e abbiamo conosciuto il loro mondo. Una volta scalettati i ‘grandi temi’ che volevamo affrontare e definito insieme come affrontarli, li abbiamo seguiti nelle loro giornate e nei loro impegni live: in un paio di mesi abbiamo girato tutto.

Cosa ti piacerebbe scrivesse la critica dopo aver visto Made in Napoli?

Vorrei fosse colto l’aspetto pulito di un mondo spesso appiattito solo su alcuni personaggi. Mi piacerebbe venisse riconosciuta la purezza e la semplicità del racconto e dei suoi protagonisti. Quella semplicità che passa per le abitudini familiari, che abbiamo imparato a conoscere e abbiamo vissuto nel corso delle riprese, e che ha reso la separazione dei figli dal padre un vero e proprio dramma familiare. Al di là delle singole vicende, di base ci sono valori fortissimi, che abbiamo voluto descrivere così come sono.

Cosa temi dai fan?

Penso che questo tipo di racconto possa piacere anche a chi li conosce, perché ne racconta degli aspetti magari inediti ai più. Magari i fans avrebbero voluto conoscere dettagli ancora più intimi della loro vita, ma  non ci siamo spinti troppo in là con confessionali e racconti sentimentali. Mi riferisco soprattutto ai due ragazzi, che ovviamente hanno un seguito di fans molto attente alla loro vita privata.

E dai neofiti del genere?

Come dicevo, il nostro tipo di racconto si discosta dalla ricerca del kitch e del ridicolo ed è un intrattenimento sicuramente più edulcorato, per quanto sempre colorato. E può essere un modo per avvicinarli a un mondo, non solo musicale, davvero molto sfaccettato.

A proposito di sfaccettature, lo è anche l’attività di Videa. Hai accennato prima alla produzione di Casamonica – Le mani su Roma, andata in onda nelle scorse settimane su Nove, e hai anticipato i possibili contenuti per nuove puntate di questo format docufictional dedicato al mondo neomelodico. Ci sono altri progetti in cantiere per Videa?

Intanto fammi dire che questo per noi è un momento di grandi trasformazioni e di grandi sfide. Sul fronte tv stiamo presentando nuove inchieste per Nove e stiamo tornando alla produzione cinematografica dopo 15 anni di assenza. Videa ha continuato a essere un colosso della distribuzione in questi anni, ma da tempo non eravamo più nel campo della produzione. Ora ci siamo e stiamo per girare un nuovo film. Per noi è una vera e propria rinascita, una ripartenza importante, un periodo pieno di stimoli,  che passa anche per una sfida complicata come il racconto del neomelodico in tv.

In chiusura, come vuole la tradizione della narrazione circolare, torniamo un po’ al punto di partenza. Stasera il pubblico vedrà Made in Napoli: quali sono le istruzioni per la lettura del testo che ti senti di dare ai telespettatori?

Per noi Made in Napoli è un biglietto da visita per fare vedere al pubblico, e anche a Discovery, che è possibile raccontare questo mondo uscendo dai cliché del già visto. Un racconto più sobrio, più schietto di quanto si è abituati a vedere. Il concetto in fondo è molto semplice, ma vale la pena ripeterlo: siamo affascinati da questo mondo estremamente ricco e sfaccettato, vogliamo raccontarlo attraverso le storie di vita dei loro protagonisti, abbiamo scelto questa prima storia perché rappresentativa dell’idea di famiglia e con un perfetto conflitto generazionale tra tradizione e innovazione e lo raccontiamo così, senza eccessi ‘aggiunti’. Sperando che questo modo di raccontare vi piaccia.

 

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