Home Notizie Sanremo 2019, la scenografa Francesca Montinaro a Blogo: “Ma quale cupa: vi svelo i segreti della mia scenografia”

Sanremo 2019, la scenografa Francesca Montinaro a Blogo: “Ma quale cupa: vi svelo i segreti della mia scenografia”

L’intervista alla scenografa di Sanremo 2019, Francesca Montinaro.

pubblicato 8 Febbraio 2019 aggiornato 31 Agosto 2020 01:13

“C’è una rivoluzione ed è senz’altro spaziale”. Incontriamo Francesca Montinaro, la scenografa di Sanremo 2019, quando la kermesse è già entrata nel vivo e quando anche noi telespettatori ci siamo potuti fare un’idea ben precisa della scena di questo Baglioni Bis. Già scenografa di programmi come Quello che (non) ho, Vieni via con me e del Festival di Sanremo 2013, Montinaro collabora da anni con il regista Duccio Forzano (“Ormai ci basta uno sguardo per capirci”). Prima di leggere l’intervista, vi consigliamo di fare un tuffo sul profilo Instagram della nostra intervistato, che ha ripreso e documentato tutto il processo di nascita e costruzione di questa scena sanremese.

Come nasce la scenografia di un Festival di Sanremo?

“Nasce come tutte le scenografie. Ovvero con delle riunioni, delle idee e una linea artistica da seguire. Nel caso specifico del Festival tutto questo è riconducibile al direttore artistico, che decide l’approccio al Festival, che poi le scene devono rappresentare. Ho fatto un altro Festival, nel 2013, e ora mi dicono: ‘Sono così diverse le due scene’. E certo, sono anime diverse”.

Cosa è cambiato stavolta rispetto al 2013?

“Lì scardinavo una consuetudine, quella di avere lo stesso scenografo per tanti anni. Ero la prima che sfondava questa ricorrenza, oltre a essere la prima donna in assoluto a ricoprire questo ruolo. Che non è un merito, ma un demerito della nostra società (sorride, ndr). Non è difficile fare il Festival, è il teatro a essere molto difficile per come è strutturato. Questo è un teatro costruito per cose diverse e improvvisamente deve adattarsi a delle esigenze che con il passare del tempo diventano sempre più importanti. La prima volta avevo la problematica di raccontare più il contenuto altro rispetto alla musica. Stavolta mi è stato chiesto di calarmi nella musica. Il direttore artistico Baglioni mi ha chiesto di parlare di musica e di armonia. Non solo: mi hanno chiesto una rivoluzione di spazi”.

Come ci è riuscita?

“Ho lavorato per tutta l’estate alla ricerca di un’idea. Conoscendo il teatro sapevo che quella rivoluzione sarebbe stata difficile da attuare. Ho fatto plastici su plastici, ma non mi convincevano. Finché una domenica mi è venuto un’illuminazione. Sono corsa in studio, ho capito che l’idea madre era “sfondare” il teatro e mettere l’orchestra in una buca dietro ai cantanti. Ho verificato che si potesse fare fisicamente e ‘scavando’ ci siamo resi conto che solo così avremmo potuto ampliare gli spazi. Poi con Baglioni ci si capisce immediatamente. Essendo lui un architetto è facile: al volo, come ha visto questo plastico, ha detto sì”.

Quando sono cominciati i lavori?

“I lavori cominciati il 27 di dicembre. E’ stato un continuo lavoro…”.

Così questo è il palco più grande della storia del Festival.

“Lo è, ma lo è ancor di più nella percezione. Noi scenografi siamo più assimilabili a dei prestigiatori che a degli architetti”.

Qualche curiosità su questa scenografia?

“Le prime file della platea sono motorizzate, si aprono e si chiudono. Ho voluto che il pubblico partecipasse attivamente e fosse vicinissimo al palco. Il palco è asimmetrico. Così quando la camera si muove, il palco sembra muoversi a sua volta e sembra ruotare. E poi non ci sono ledwall in scena. Io non ne faccio uso, è una mia guerra personale. Se non hanno un senso, è inutili metterli”.

Qualcuno dice che la scena, sullo sfondo delle inquadrature, è sfocata.

“E’ una scelta. La profondità di campo, insieme a tutti questi accorgimenti da prestigiatore, ci permette questo. Se la scena è sfocata l’attenzione sarà solo sul protagonista”.

E la scala?

“Non vorrei essere ricordata come la prima scenografa donna, ma come la prima ad aver fatto muovere una scala a Sanremo. Quella con Fazio rappresentava le mie mani da prestigiatrice. Questa volta si rifà alle tuffatrici dei celebri musical sportivi di Esther Williams. Come se fosse un trampolino per tuffarsi nella musica. C’è stata una ragazza che sui social ha scritto: ‘Peccato che la sicurezza gli abbia fatto mettere dei corrimano che sembrano da piscina’. Non volevo, ha capito tutto. Il riferimento voleva essere proprio quello. Poi, non so se ha notato: per entrare nella pancia del teatro ci sono proprio delle scalette da piscina.

Il trampolino, insomma, è una metafora.

“Proprio così: il trampolino per me è la metafora di Sanremo. Vieni qui e ti lanci, poi non si sa come va a finire. Se va bene o se ti stramazzi (ride, ndr)”.

Qualcuno dice che questa scenografia ricorda l’Eurovision.

“Ovviamente, ricorda l’Eurovision. Ma sa perché? A causa del ‘Madrix’, che è usato sia lì che qui. Si tratta di un meccanismo computerizzato, insomma un software che ci dà la possibilità di muoviamo le luci e l’onda dietro in tempo reale”.

Una critica: c’è chi definisce questa scenografia cupa.

“Ma che vuol dire cupa? Libero chiunque di vederci cosa vuole, ma credo sia tutt’altro che cupa. In realtà la considero elegante e raffinatissima, ridotta all’essenziale. L’atmosfera di questo Sanremo, poi, è proprio il contrario della cupezza. C’è un’armonia – e mi scuso se uso ancora questa parola – che si percepisce in ogni momento. Ogni giorno alle prove vedo dei sorrisi straordinari. Ah, le voglio raccontare un aneddoto: tutte le volte che ho avuto bisogno di chiedere qualcosa a Claudio, lui mi ha sempre risposto. Non è scontato eh, non succede mai. Questo per dire che lui si dedica con tutto se stesso a questo lavoro”.

Da telespettatrice cosa pensa di questo Festival?

“Ho una figlia di dieci anni. A lei piace un sacco questo Festival perché finalmente ci vede i suoi idoli. Questo Sanremo sa di futuro e proprio in questo senso era nato il mio bozzetto con un trampolino che svetta tra le nuvole: il Festival dev’essere una vedetta sul futuro”.