Home Notizie L’omologazione dei talk e la scomparsa delle vere arene. Che tanto servirebbero ai politici

L’omologazione dei talk e la scomparsa delle vere arene. Che tanto servirebbero ai politici

Talk show tutti uguali, con politici divisi per fazioni e studi televisivi che diventano la loro seconda dimora. Eppure la storia racconta che i voti si conquistano andando in casa del nemico

pubblicato 15 Novembre 2018 aggiornato 31 Agosto 2020 05:41

Si torni ai confronti duri e puri, si torni ai duelli, si torni alle arene. Lo chiede il pubblico, sempre più annoiato; lo chiedono i talk, finiti col diventare tutti uguali e affogati in un mare di applausi telecomandati; ma soprattutto dovrebbero chiederlo i politici, per il loro bene.

L’omologazione del dibattito in tv è inquietante. Politici, esperti economici, giornalisti. Tutti rigorosamente divisi per fazioni. C’è quello vicino a una corrente e quello appartenente alla fronda opposta. E così, tra un “mi lasci parlare, io non l’ho interrotta” e “il precedente governo ha fatto/non ha fatto” tutto tende ad assomigliarsi, a prescindere dal contesto.

Il politico non teme più il talk, anzi lo insegue. E’ la sua seconda dimora, con il conduttore che diventa presto suo complice. E’ successo a Non è l’arena, dove Nunzia De Girolamo a volte va in rappresentanza del centrodestra e in altre indossa addirittura l’abito dell’inviata.

Il corto circuito è servito. Il potere accarezza il pelo a chi il potere dovrebbe contrastarlo e contestarlo. E così, quando qualcuno riporta tutti sulla terra, ecco che scattano i veti, gli inviti rifiutati, le manifeste antipatie.

E’ il caso ad esempio di Piazzapulita. Salvini declina gli inviti di Corrado Formigli da oltre un anno e, se possibile, consiglia pure ai suoi di rimanerne alla larga. In precedenza era stato il turno dell’altro Matteo, Renzi, tornato in trasmissione nel dicembre 2017 dopo anni di assenza volontaria.

Eppure la storia insegna che i voti si conquistano invadendo il territorio nemico, contrastando a testa alta le tesi avverse, dimostrando che la propria è migliore o vincente.

L’uno contro tutti esalta lo spettatore, lo tiene incollato. Inconsciamente scatta l’empatia con l’invitato, circondato e messo al muro da avversari che vorrebbero spellarlo vivo.

Al contrario, i monologhi non rendono. Sì, esaltano l’ego del diretto interessato e magari soddisfano il palato del padrone di casa, ma non lasciano nulla al pubblico, sempre più stanco e distratto di fronte a trasmissioni fotocopia.