Home Serie Tv Gypsy, la recensione della serie tv Netflix in anteprima Blogo (Video)

Gypsy, la recensione della serie tv Netflix in anteprima Blogo (Video)

Gypsy, nuova serie tv di Netflix con Naomi Watts, si distingue dagli altri show della piattaforma perchè punta ad un pubblico non in cerca di discussioni o reazioni, ma di un thriller provocante ma non troppo

pubblicato 20 Giugno 2017 aggiornato 1 Settembre 2020 08:39

Gypsy, la nuova serie tv che Netflix diffonderà dal 30 giugno, non è la solita serie di Netflix. E’ qualcosa di insolitamente diverso, e non nel senso più trasgressivo del termine, anche se di trasgressione -intesa come violazione di regole- ce n’è tanta in questo show creato da Lisa Rubin.

La storia prende il via raccontando la vita della protagonista Jean Holloway (Naomi Watts), una terapista che condivide, con alcuni suoi colleghi, uno studio in cui accoglie i suoi pazienti. Desiderosa di aiutarli a superare le loro problematiche, Jean li ascolta: c’è Sam (Karl Glusman) che non riesce a dimenticare la sua ex Sidney (Sophie Cookson), c’è Claire (Brenda Vaccaro), iperprotettiva nei confronti della figlia Rebecca (Brooke Bloom), tanto che questa ha tagliato i ponti con lei e c’è Allison (Lucy Boynton), tossicodipendente che vorrebbe chiudere con la droga ma non sa a chi chiedere aiuto.

Jean ascolta, dispensa consigli, propone soluzioni, ma non sempre i suoi pazienti sembrano sentirla. Si ritrova così in un circolo vizioso, in cui il suo lavoro rischia di diventare inutile. Una frustrazione che avverte anche a casa, dove il marito Michael (Billy Crudup) è sempre più chiuso in ufficio al lavoro, mentre la figlia Dolly (Maren Heary) dimostra maggiore interesse per delle passioni tipicamente maschili che femminili.

Così, un giorno, Jean fa ciò che nessun terapista dovrebbe mai fare: inizia a fingersi un’altra donna per conoscere le persone che sono al centro delle difficoltà dei suoi pazienti. Incontra così Sydney, con cui instaura una relazione da “vorrei ma non posso”, e Rebecca, che le rivela come mai non si faccia più sentire con la madre. Ovviamente, i suoi pazienti non sanno del “vizio” di Jean, che si ritrova così a conoscere le loro vite dal punto di vista di coloro che sono la causa della loro terapia.

A questa situazione, di per sé complicata, si aggiunge anche il passato della protagonista, affetta da attacchi d’ansia ed ossessioni nei confronti del marito. Una donna che decide di dare una svolta alla propria vita entrando in quelle degli altri, pensando di poterli aiutare ma finendo, inevitabilmente, in un groviglio di bugie di relazioni pericolose che metteranno a rischio il suo lavoro.

Abbiamo detto che Gypsy non è un tipico telefilm di Netflix: manca, infatti, la sensazione di originalità che contraddistingue gran parte delle sue serie tv. Per quanto trasgressiva sulla carta -la violazione delle norme di comportamento professionale dei terapisti è alla base dello show-, Gypsy non riesce davvero a sorprendere, rivelandosi quasi un telefilm più adatto ad una rete via cavo che vuole proporre un racconto intimo ma non scottante.

A questo si aggiunga la protagonista, per cui non riesce proprio a fare il tifo, e che gran parte delle volte sembra voglia solo soddisfare dei capricci invece che aiutare. Il tentativo di scrivere un personaggio borderline è riuscito solo in parte: nonostante le conseguenze delle azioni di Jane la porteranno inevitabilmente a risentirne nella sua psiche, non provoca emozioni tali da suscitare reazioni.

Con Gypsy, però, Netflix ha tentato un percorso alternativo, lontano dalle rappresentazioni di una cultura in movimento come possono fare Orange is The New Black o Master of None, così come distante dal voler provocare discussioni come House of Cards o Tredici. Piuttosto, Gypsy vuole solamente stuzzicare la fantasia di un pubblico in cerca di una storia non troppo complessa, un thriller che usa sapori già sentiti e che non punta ad altro.