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Girlboss, recensione in anteprima della nuova serie tv di Netflix

Girlboss, la nuova serie tv di Netflix, offre al pubblico temi già noti in altre serie tv, affiancandoli ad un personaggio femminile la cui intraprendenza è l’unico vero motivo che incuriosisce il pubblico

pubblicato 11 Aprile 2017 aggiornato 1 Settembre 2020 11:14

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Netflix sembra essere sempre più interessato ad avvicinare ad una fascia di pubblico che forse, fino ad ora, aveva trascurato, ovvero quella dei giovani ventenni divisi tra il proprio passato scolastico ed i dubbi di un futuro sbiadito. Dopo aver lanciato, il mese scorso, Tredici, drama sul fenomeno del bullismo a scuola, ora punta al racconto delle aspirazioni delle nuove generazioni, allergiche alle regole ed ai canoni. E lo fa con Girlboss, comedy che sarà disponibile dal 21 aprile e che racconta la storia di Sophia Amoruso, giovane imprenditrice che, da sola, è diventata una delle donne più ricche del mondo.

La storia è liberamente tratta dall’omonimo romanzo Girlboss scritto dalla stessa Amoruso, che racconta l’inizio della sua carriera da “self-made woman” nel 2006. La protagonista (interpretata da Britt Robertson) all’inizio della serie è una 23enne sbandata, con un lavoro in un negozio di scarpe che non la soddisfa (tant’è che, dopo l’ennesimo comportamento contro la policy del negozio si fa licenziare) e tante difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Se c’è una cosa che, però, le fa illuminare gli occhi, è la passione per la moda vintage: Sophia è una vera intenditrice, ed adora girare per i negozi di San Francisco in cerca di capi che costano poco ma che valgono molto.

E proprio in una di quelle giornate no, in cui ha perso il lavoro ed ha rifiutato l’aiuto economico de padre Jay (Dean Norris, Breaking Bad), che Sophia ha un’idea: vendere su eBay una giacca acquistata ad un prezzo stracciato ma che in realtà è un pezzo unico, tanto da farle guadagnare abbastanza per pagarsi l’affitto. Sophia capisce che la sua strada è quella: diventare l’imprenditrice di se stessa e sfruttare il suo “dono”, iniziando a vendere online vestiti abbandonati o ritenuti da molto senza valore e che, in realtà, valgono molto di più.

Come detto, Girlboss è la vera storia della Amoruso che, dopo un’adolescenza travagliata, fatta di trasferimenti, abbandono della scuola e piccoli furti, ha prima iniziato a vendere online su eBay e poi ha fondato Nasty Gal, un negozio prima online e poi con una sede vera e propria diventato, nel 2012, una delle compagnie che sono cresciute più velocemente negli Stati Uniti. La Amoruso è diventata così un’imprenditrice di successo, affermandosi, secondo Forbes, come una delle donne più ricche al mondo grazie ad un marchio che presto è diventato famoso in tutta l’America.

Prodotto, tra gli altri, da Charlize Theron e creato da Kay Cannon, Girlboss è il racconto della carriera della Amoruso, personaggio interessante da raccontare anche al di fuori del suo spirito imprenditoriale. Sophia, infatti,è allergica alle regole, non vuole sottostare a nessuno e soprattutto ha un’idea di lavoro tutta sua. Quando scopre di avere un’ernia all’inguine, ad esempio, si rende conto che deve essere assicurata per potersi curare e, quindi, avere un lavoro “regolare”.

Girlboss parte dall’esperienza della protagonista per provare a raccontare lo stato di una generazione di giovani ventenni che, volenti o nolenti, devono inserirsi in un mondo del lavoro in constante mutamento. Sophia rappresenta tutti quei giovani che devono confrontarsi, da un lato, con la necessità di avere un posto fisso per poter tirare avanti ma che, dall’altro, vorrebbero inseguire i propri sogni senza doversi piegare alle esigenza del Sistema.

Se in questo senso Girlboss si rivela interessante, è nella sua rappresentazione dell’universo femminile e del caos che ruoterebbe intorno ai più giovani che la serie di Netflix sembra non proporre nulla di nuovo: ci hanno già pensato Girls ed How To Make It In America a raccontare la fatica delle nuove generazioni -maschi o femmine che siano- nel trovare un proprio posto nel mondo. Girlboss -fin dalla frase “L’età adulta è dove i sogni muoiono”, ripetuta dalla protagonista nel primo episodio- non fa altro che evidenziare quanto il pubblico sappia già, ovvero che lo scontro generazionale non riguarda solo sentimenti e passioni, ma anche cose più concrete, come il desiderio di affermarsi e di ricevere dai più adulti sostegno e non diffidenza.

Se Girlboss non diventerà un evento di Netflix è proprio perchè non offre niente di davvero sorprendente, seppur riesca ad intrattenere con una storia di intraprendenza di una giovane donna che ha sfidato i clichè della società per affermarsi a modo suo. Ma, oltre a questo, Girlboss non offre un prodotto davvero nuovo di zecca.