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Fuori gli Autori II – Francesco De Carlo a TvBlog: La voglia di sperimentare, una guerra persa?

Oggi esce su TvBlog Francesco De Carlo

di Hit
pubblicato 20 Agosto 2016 aggiornato 21 Gennaio 2021 18:17

Autore del programma televisivo diffuso recentemente dalla terza rete del servizio pubblico radiotelevisivo “Nemico pubblico” Francesco De Carlo è oggi l’ospite e contemporaneamente padrone di casa della nostra rubrica estiva “Fuori gli Autori II”. De Carlo ha fatto parte anche del cast Stand Up Comedy sul canale Comedy Central, inoltre ha avuto modo di esibirsi in vari teatri europei con il suo spettacolo “Italians do it later”.

La voglia di sperimentare, una guerra persa?

Prima di cominciare a lavorare in televisione avevo un’idea molto precisa di quest’ambiente, me lo immaginavo arido, falso, popolato da loschi figuri interessati a far cassa e autori frustrati per non riuscire a realizzare le loro brillanti idee, in cui le capacità relazionali fossero ben più apprezzate di quelle creative. Un’idea molto banale, superficiale e generalizzante. Bene, dopo un po’ che ci lavoro, è incredibile come tutti gli stereotipi che avevo immaginato siano stati confermati con puntualità dall’esperienza personale.

Grazie al cielo, sono riuscito a conoscere ottimi professionisti, a rubare con gli occhi dalla loro esperienza sul campo e a sviluppare persino amicizie sincere.
Tuttavia, il contesto lavorativo in cui vengono partorite le idee assomiglia molto a un teatro di guerra, una guerra per di più persa in partenza.
Ecco tre piccole battaglie quotidiane che rendono la vita dell’autore una trincea perenne (almeno agli occhi di chi questo lavoro lo fa da poco).
Primo punto: la televisione si fa di corsa. I budget sempre più risicati impongono tempi sempre più stretti e quindi riformulazioni al ribasso, correzioni in corsa, aggiustamenti di ogni tipo. La televisione, quando è brutta, è brutta anche perché fatta di fretta. Ci riempiamo la testa con le mastodontiche produzioni americane e poi siamo costretti a fare conti (letteralmente) con gli scarsi mezzi a disposizione.

Secondo punto: l’autocastrazione creativa. Non è solo il risaputo problema delle risorse a complicare le cose. C’è una certezza della quale l’autore contemporaneo si è convinto: la qualità è nemica della quantità. Un assunto, da molti considerato una fede, che negli ultimi decenni ha trasformato forme e contenuti della tv. Ma la qualità per lungo tempo ha fatto mercato in questo paese e all’estero lo fa ancora. Invece, ora, anche il più audace degli autori si è persuaso che il pubblico voglia essere rassicurato, che i numeri si facciano con proposte convenzionali e la reiterazione di formati del passato diventa la soluzione più facile. Il risultato è quasi sempre un’idea povera (che non è sinonimo di semplice), che ben si sposa con i problemi di budget di cui sopra.
Quindi l’autore sa che la massa vuole un prodotto conformista, impersonale, povero appunto. Mentre la qualità, la cultura, la complessità sono appannaggio di una nicchia illuminata.

Onestamente, quanto è triste rassegnarsi a questo atteggiamento? Quanto è snob pensare di destinare le idee migliori a una minoranza di prescelti e abbandonare il grande pubblico a un’offerta sterile e preconfezionata? Per carità, esistono centinaia di esempi che confermano questa deprimente realtà, ma come si può lavorare con passione se si rinuncia a modificarla?
E, ripeto, la qualità all’estero fa mercato e, fino a qualche tempo fa, anche in Italia (lo fa ancora, se si considerano alcune eccezioni, ma non fa sistema).
Ma soprattutto: siamo sicuri che queste leggi di mercato alle quali ci si arrende con facilità siano ancora valide? Mai come in questo momento è stato difficile anticipare le preferenze del pubblico. L’esempio più lampante è quello dei contenitori dell’intrattenimento televisivo, che hanno conosciuto una crisi dalla quale non riescono più a uscire. A che pubblico parla la tv? Non lo sa più nessuno. Nella migliore delle ipotesi, stando ai sistemi di rilevamento, chi sta davanti alla televisione ha un’età media che in molti casi supera i sessant’anni. Un corpo morto, a livello statistico. Per questo in alcuni paesi i dati che riguardano i telespettatori sotto i quarant’anni hanno un peso specifico maggiore e questo condiziona fortemente tutto il processo creativo.

E qui arriviamo al terzo problema dell’autore: la sperimentazione. È l’aspetto più interessante di questo mestiere, forse il motivo per cui tutti gli autori hanno deciso di fare gli autori. Se non si sperimenta ci si inaridisce. Come è possibile poi sperare di parlare alle famose nuove generazioni se si smette di sperimentare?
Più di una volta ho sentito questa frase: “se una cosa non l’ha mai fatta nessuno prima, allora non verrà mai fatta”. Ma se non l’ha mai fatta nessuno, non dovrebbe essere un valore? Tra rischiare e andare sul sicuro, siamo convinti che convenga solo andare sempre sul sicuro? E ancora: in questo scenario, chi dovrebbero essere i capitani coraggiosi in grado di comprendere la veloce evoluzione di internet e il suo impatto sulla società del futuro?
Quelli che ho elencato mi sembrano essere i problemi che trasformano una passione tanto stimolante in un lavoro monotono fatto di alibi e abitudini quotidiane, tra l’altro non più pagato come qualche anno fa, quando c’erano tante risorse e soprattutto maggiore fiducia nella creatività, nel pubblico e nel mezzo televisivo. Un contesto in macerie, che evidentemente prelude a un grande periodo di ricostruzione e rinnovamento, ma è chiaro che negli ultimi giorni di una guerra persa, passi la voglia di combattere e ci si preoccupi soltanto di portare a casa la pelle.

Francesco De Carlo

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