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Pesci Combattenti, intervista a Cristiana Mastropietro: “Artigianalità e immagini potenti le nostre parole chiave”, da Unti e Bisunti a Le Ragazze del ’46

La società di produzione ha appena acquisito The Bubble, un game show in cui i concorrenti sono isolati dal mondo e poi chiamati a individuare quali notizie tra quelle proposte dal conduttore sono vere o false.

pubblicato 24 Maggio 2016 aggiornato 2 Settembre 2020 00:29

Unti e Bisunti, Io & George, Il pranzo di Mosè: tutti questi titoli, diversi per genere e per formato, hanno almeno due cose in comune; la prima è che si tratta di idee originali realizzate con gran classe, la seconda che portano tutte la firma di Pesci Combattenti, società di produzione nata nel 2005 che è riuscita a portare uno raffinato stile cinematografico in tv e a raccontare storie dense con una leggerezza affascinante e coinvolgente, che rende ogni personaggio tridimensionale, persino sullo schermo ‘piatto’ della televisione.

A proposito di storie dense raccontate con leggerezza, dal prossimo 30 maggio e fino al 3 giugno andrà in onda su Rai 3 Le Ragazze del ’46, cinque puntate incentrate sulle storie di 10 donne che il 2 giugno del 1946 votarono per il Referendum tra Monarchia e Repubblica. Era la prima volta che al seggio poterono presentarsi anche le donne, fino a quel momento prive del diritto di voto. Sono passati da allora solo 70 anni e ce lo dimentichiamo troppo spesso.

Per ricordarci di quel diritto acquisito così tardi e per celebrare la Festa della Repubblica in maniera diversa dal solito, arriva in tv quindi questo ‘format’ speciale, che raccoglie le testimonianze di quelle ragazze, oggi per lo meno 91enni, che con il proprio voto segnarono la storia del Paese.

De Le Ragazze del ’46 e dei vari prodotti – e progetti – della Pesci Combattenti ne parliamo con Cristiana Mastropietro, fondatrice con il fratello Riccardo e con Giulio Testa di questa brillante realtà produttiva italiana. E ne approfittiamo per ringraziarla subito della disponibilità, della pazienza e della bella chiacchierata fatta sulla, e intorno, la tv e i suoi linguaggi, che trasuda tutta la passione per un mestiere e tutto il piacere del racconto.

Come nasce Pesci combattenti? E, per iniziare, il nome da dove viene?
E’ nata nel 2005 e l’abbiamo fondata io, mio fratello Riccardo e Giulio Testa. La storia del nome ormai è entrata nell’aneddotica: leggenda vuole che non volevamo un nome inglese. Poco prima che nascesse la società Giulio e Riccardo avevano partecipato a un docufilm che si intitolava proprio Pesci Combattenti (diretto da Daniele Di Biasio e Andrea D’Ambrosio, regista poi di Biutiful Cauntri e ora al cinema con Due Euro l’Ora, ndr). Quando di lì a poco abbiamo creato la nostra società, quel titolo ci è venuto subito in mente: ci è parso un nome così assurdo che ci è piaciuto. Non si sarebbe dimenticato facilmente.
All’inizio lavoravamo come società che curava la comunicazione per grandi aziende, ma il nostro core business era soprattutto la post-produzione e il montaggio, che son rimasti tuttora una nostra ‘ossessione’.

Poi siete passati alla produzione di prodotti originali per la tv.
Il nostro primo lavoro è del 2011: era Telenovella, per il canale Lei, con Fabio Canino e Candida Morvillo. Nel 2012 poi ho portato la proposta di Chef Rubio a Discovery. Loro si sono subito incuriositi e ci hanno dato una grandissima opportunità, perché io avevo un cv piuttosto solido come autore, ma non come produttore. Il loro è stato un atto di fiducia, ma come sappiamo è andata bene.

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Giusto per curiosità, ma per Unti e Bisunti vi fu chiesto un pilot prima della messa in produzione della serie?
Sì, facemmo un pilot che poi di fatto divenne la prima puntata della serie, quella a Napoli, alla quale siamo ancora molto affezionati. Per noi, però, le puntate ‘zero’ sono sempre le numero 1, nel senso che le realizziamo pensando alla messa in onda. Bisogna metterci dentro subito tutto quello che ci viene in mente, come creatività, proposta di linguaggio, come montaggio… Ecco perché poi i nostri pilot sono sempre puntate ‘1’.

Proporre format originali alla tv generalista è ancora difficile o si tratta ormai solo di una leggenda metropolitana?
Io penso che sia un mito che possiamo cominciare a sfatare, ma a certe condizioni. La prima è che la proposta originale deve essere innanzitutto DAVVERO originale. E deve essere una cosa che si fa notare, che impatta sul linguaggio televisivo, rinnovandolo, cambiandolo. L’idea non è nulla se non c’è la realizzazione. Mi propongono 10 format a settimana, e non esagero, ma non sono format. Sono ‘cose che avvengono nel mondo’, ma non sono format. “Ho un’idea… facciamo un programma sulla pastasciutta” mi dicono. Ecco, questo non è un format.

Perché, cos’è un format?
Il format è dare una forma talmente peculiare a un’idea tanto da renderla riproducibile. Se io dico ‘facciamo un programma di cucina girato per strada’ non è un format. Manca tutto. Manca la realizzazione, manca il come, manca la peculiarità che lo rende originale. Questo, però, è un momento molto favorevole perché ci sono tanti canali, per di più in competizione tra loro, che lottano per distinguersi. Credo che per i produttori, anche medi e piccoli, sia un’occasione imperdibile.

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Beh, direi che Pesci Combattenti ha ormai un proprio tratto distintivo, lo sguardo, ovvero un punto di vista innovativo, diverso su cose che in tv si sono già viste. E poi riuscite a unire la dolcezza del racconto – perché in fondo anche il ‘perfido Rubio’ ha un cuore d’oro e si avvicina con rispetto e tenerezza ai prodotti tipici e ai loro custodi – alla forza dei protagonisti, che riuscite a far venire fuori sempre, come se si proiettassero fuori dal contesto, come in una specie di pop-up audiovisivo. La dolcezza del tocco e lo sguardo diverso sono una vostra firma. Non è poi così ‘riproducibile’ da altri…
Questo è vero. E penso che abbia a che fare molto con l’artigianalità del prodotto. E’ una riproducibilità più difficile da raggiungere, ovviamente, rispetto a quella dei grossi prodotti industriali. Anche su quelli però penso si possa , e si debba, agire con un pizzico di artigianalità. Penso, ad esempio, che ci siano adattamenti italiani di grandi format internazionali che li abbiano persino migliorati. Lo ‘sguardo’, come dici tu, ha molto a che fare con la cultura, e la cultura tv si distingue molto a seconda dei Paesi. In ogni caso lo ‘sguardo’ è una cosa molto precisa: so, ad esempio, che qualche direttore di rete chiede programmi à la Unti e Bisunti. È una cosa che ci fa molto piacere, ovviamente, e secondo me è proprio l’identificazione del concetto di ‘format’. Vuol dire che abbiamo per le mani una ‘categoria aristotelica’ (e Cristiana ride).

L’artigianalità, quindi, come ‘ingrediente segreto’…
E’ vero che Pesci Combattenti ha un po’ un’ossessione per il linguaggio, la cura, l’attenzione ai dettagli. Questo forse dipende anche dal fatto che i nostri genitori erano due artigiani. Io sono cresciuta nelle botteghe dei miei e sono un po’ formattata sulla ricerca del dettaglio e sull’impostazione che ‘se una cosa la fai tu è diversa’, può essere meglio o peggio, ma di certo è peculiare, non è fatta con lo stampino.

Sguardo e artigianalità: c’è qualche altro principio che ispira la produzione di Pesci Combattenti?
Il contenuto che deve arrivare a tutti, qualsiasi sia l’argomento: che si tratti di cucina di strada o dei racconti di Simonetta Agnello Horby deve essere compreso da tutti. E vale anche il contrario, nel senso che mi fa piacere che qualcuno noti la citazione del Cristo del Mantegna in una puntata di Unti e Bisunti. La fruizione quindi può avvenire a livelli diversi. Il principio è quello di lavorare un contenuto molto largo senza dimenticare che ci sono gli appassionati di musica, i cinefili, gli amanti della letteratura così da metterci dentro tantissime cose, a più livelli di lettura, senza pensare solo ed ossessivamente al target di riferimento, che altrimenti diventa un limite. Quindi, sintetizzando, comprensibilità, fruibilità e ricchezza del contenuto, che incuriosisca un po’ tutti. E poi la bellezza dell’immagine.

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Beh, quella è un’altra delle vostre prerogative. Le inquadrature di Unti e Bisunti hanno fatto scuola.
Noi facciamo televisione, non radio. L’immagine deve essere potente. La qualità dell’immagine dev’essere un contenuto esso stesso. E la fotografia fa parte del racconto, come la regia e il montaggio. Per Lady Ferro, ad esempio, volevamo che dentro ci fossero le atmosfere di “Brutti, sporchi e cattivi”. Per ogni progetto partiamo da quello che mi piacerebbe raccontare in tv e se ne discute con Riccardo, che si occupa della regia, e con Giulio, che è il responsabile del montaggio. E per me è un orgoglio assoluto, perché penso che sia una delle post-produzioni migliori che ci siano in circolazione. Ma perché anche lì ci sono dei pazzi ossessionati che vivono avvitati sulla sedia (ride, con quel sottofondo di gratitudine, affetto e orgoglio che una risata può restituire). Per ogni prodotto ragioniamo da subito su come lo vorremmo editato e ovviamente ci sono grandi differenze tra i vari titoli.

Basti pensare a quanto sono diversi Io & George e Unti e Bisunti.
Per Io & George, ad esempio, non volevamo nessun pietismo, ma volevamo metterci dentro la delicatezza e qualcosa che avesse a che fare col fatto che Simonetta è una grande scrittrice, oltre al punto di vista di chi è sulla sedia a rotelle. Per Unti e Bisunti, invece, abbiamo subito pensato all’idea di vedere il cibo da molto vicino: non volevamo il classico ‘impiattamento’, ma volevamo vedere la masticazione, anche perché tutto parte dalla bocca. Volevamo far sentire al pubblico le consistenze, i sapori e gli odori del cibo. Le ultime due sono più difficili, ma ci abbiamo provato con l’audio, alzando al massimo lo sfrigolio dell’olio o l’effetto del morso, che sono diventati un contenuto. Completamente diverso il modo di riprendere, invece, in Io & George: peraltro essendo una docu si accende la camera e si va. Poi Simonetta e George sono straordinari: sembrava avessero vissuto da sempre davanti alle telecamere, è stato praticamente tutto ‘buona la prima’. Tutto quello che si vede è tutto live e tutto vero.

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Visto che ci troviamo a parlarne, ci sarà una seconda stagione di Io & George? Leggevo di un proseguo all’estero del viaggio di George e Simonetta.
Ci piacerebbe molto fare una seconda stagione: parleremo con la rete (Rai 3, ndr) e cercheremo di capire se ci sono le condizioni per farla. Ci fa piacere che poi molti telespettatori ci chiedano se continua. Ma questo è il momento in cui si costruiscono i palinsesti. Aspettiamo. Quella di andare all’estero era una delle idee, ma possiamo tranquillamente restare in Italia, c’è ancora tanto da raccontare.

Ma restiamo su Rai 3 per Le Ragazze del ’46, che a occhio mi sembra entri perfettamente nella logica dello ‘sguardo’ di PC, ovvero di come raccontare anche la Storia da un punto di vista completamente diverso e accattivante. Mi sa che coglie più di due piccioni con una fava, tra la ‘rivendicazione’ di un diritto arrivato ‘da poco’, il racconto di un pezzo d’Italia, la celebrazione della Festa della Repubblica…
L’idea in fondo è nata da una considerazione, ovvero che tra dieci anni queste testimonianze non ci saranno più. Stiamo parlando di donne che hanno almeno 91 anni, che è poi l’età della ‘ragazza’ più giovane che abbiamo intervistato. La più anziana ne ha 101,e digita sull’iPad per darvi un’idea. La Storia si può studiare, ma il racconto diretto è un’altra cosa. Non c’è dono più bello di qualcuno che ti racconta un pezzo della Storia e della loro storia.

Sono ancora ragazze, in fondo…
Io le chiamo ragazze, non mi viene di chiamarle ‘signore’ o ‘nonnine’. Sono indistruttibili. Penso che sia un’intera generazione indistruttibile. Sono nate tutte – o quasi – sotto il Fascismo; la 101enne è nata con la Prima Guerra Mondiale. Hanno vissuto la loro giovinezza in guerra, hanno superato il Dopoguerra e il Boom. La cosa bella è il loro ottimismo, sentire il loro entusiasmo per futuro, con tante cose da voler fare e vedere, per sé e per gli altri. Ed è bello vedere ancora la loro emozione al ricordo: c’è chi ha votato Monarchia, chi Repubblica ribellandosi a tutta la famiglia. Tutte sono state contente di essersi raccontate. Tutte hanno la consapevolezza e l’orgoglio di essere state le prime e lo trasmettono alle nuove generazioni.

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Ragazze che hanno fatto la storia, in ogni caso.
Ti confronti con quello che fu un appuntamento con la Storia, il cambiamento della forma di Stato in Italia e l’elezione dell’Assemblea Costituente, ma in fondo capisci quanto sono importanti le donne nella società, con la loro stessa vita, con i loro piccoli esempi. C’è chi racconta di aver dovuto lasciare la scuola alla seconda elementare, pur amando studiare, per diventare lavanderina e chi ha conseguito tre lauree negli anni ’40: storie molto varie, provenienze diverse, ma un unico tratto distintivo, ovvero che ciascuna di loro ha faticato tantissimo nella propria vita. Ciascuna di loro ti racconta un pezzo della Storia d’Italia. E se oggi siamo un Paese migliore lo dobbiamo anche a loro e la conquista della democrazia è avvenuta grazie a loro. Ci rendiamo conto di cosa voglia dire Non Votare? Beh, 70 anni fa noi non avremmo potuto farlo.

Ma come avete fatto per il ‘casting’?
Ci siamo mossi per conoscenze, con i nostri vari agganci sui territori – che ormai abbiamo maturato facendo programmi on the road – e grazie anche alle associazioni, come l’UDI (Unione Donne Italiane). Quasi tutte le donne che abbiamo incontrato sono entrate nel programma. Abbiamo cercato di essere rappresentativi, ma senza chiuderci in schemini, basandoci piuttosto sull’istinto, su quello che ci emozionava di più. Alla fine è venuto fuori un panel davvero rappresentativo, dalla contadina alla prima psicoterapeuta donna a Napoli, dalla maestra al deputato, dalla casalinga che dipendeva dal marito alla divorziata, che per la generazione era segno di massima rivolta. C’è anche una certa varietà geografica: ci sono ragazze di Napoli, Roma, Torino, ce n’è una di Ferrara, ebrea, scampata miracolosamente al rastrellamento del 16 ottobre a Roma. E poi ci sono tante esperienze diverse: c’è chi ha perso i genitori in un rastrellamento, c’è la benestante ha sentito meno i contraccolpi della guerra. Tante hanno fatto le maestre, l’unico modo per uscire di casa, l’unico lavoro considerato ‘rispettabile’: sono state delle vere eroine, chiamate nei paesini più dispersi a educare, con l’acqua nel catino che si ghiacciava, in condizioni davvero precarie.

Mi sembra la dimostrazione che per ‘educare’ non servono lezioncine ma esempi affascinanti. Ma nella realizzazione c’è stata qualche partnership istituzionale? Per dire, lo vedremo nelle scuole?
Guarda, questo ci farebbe molto piacere, sarebbe molto bello. Del resto le ragazze del ’46 mandano messaggi alle ragazze di oggi: la cosa che ripetono più spesso è ‘studiate’, perché ancora oggi vedono nello studio lo strumento del riscatto per la donna, “per farvi rispettare anche dal più ‘dragone’ dei capoufficio’, dice qualcuna.

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Dopo Le Ragazze del ’46 cosa bolle in pentola? Ho letto di una quarta stagione di Unti e Bisunti, ma anche dell’apertura all’acquisto di format stranieri. Cosa possiamo aspettarci da PC per la prossima stagione?
Guarda, posso dire che abbiamo opzionato un format di Armoza, The Bubble, che secondo noi è molto carino per raccontare la contemporaneità. Abbiamo cercato qualcosa su cui fosse possibile lavorare proprio nell’ottica della personalizzazione dello sguardo. Ci interessa molto cominciare a guardare fuori e questo format ci è sembrato quello giusto per iniziare.

C’è qualche rete che ha già opzionato il format?
Per ora no, ma il format l’abbiamo preso proprio ora a Cannes.

Ma cosa vorresti portare in tv? C’è un progetto nel cassetto che speri di portare sul piccolo schermo?
Intanto sono riuscita a fare un programma di cucina diverso, che era uno dei miei progetti. Cosa mi piacerebbe fare? Il mio grande amore è la scienza: tanti anni fa feci La Macchina del Tempo e la divulgazione scientifica è una delle cose che mi piacerebbe rifare, in modo contemporaneo. L’altra grande passione è la musica. E su questo fronte qualcosa sta bollendo in pentola. Ma ne riparleremo. Così come riparleremo della quarta di Unti e Bisunti…

E noi non vediamo l’ora.