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In onda fuori dallo stivale – Blogo reporter

Blogo Reporter – Reportage di Sandra Simonetti sulle radio che trasmettono in lingua italiana all’estero

pubblicato 24 Luglio 2015 aggiornato 2 Settembre 2020 12:45

In onda fuori dallo stivale – Sommario

Quali radio e perché?
Chi le ascolta?
Chi sono gli italiani all’estero?
Cosa significa fare comunità all’estero?
Le istituzioni italiane
Le istituzioni estere
Al servizio degli ascoltatori
La forza della radio
Quale futuro?
Tirando le somme

Quali radio e perché?

I social media e le loro Primavere Arabe, il presunto monopolio della TV sul panorama mediatico, la stampa che si ritira dalle edicole per passare al digital: parlare di radio sembra essere diventato vintage. Che ne è delle nostre orecchie e di ciò che ascoltano? La radio la releghiamo spesso o alle fasce snob della società – ammesso che ancora esistano – oppure ai brevi tragitti in auto fino al benzinaio con l’ultima hit da talent show.

Abbiamo voluto provare a capire se la radio esiste ancora, soprattutto fuori dall’Italia; così, siamo partiti alla ricerca di quelle coraggiose stazioni che trasmettono in lingua italiana all’estero e abbiamo raccolto le voci di speaker per passione e di direttori ispirati. Vi presentiamo le loro storie nel modo che ci è sembrato più opportuno: descrivendone gli sforzi e lasciando spesso a loro la parola, con tutta la spontaneità e il coinvolgimento che contraddistinguono chi alla radio dedica il proprio tempo e la propria voce.

La lista delle stazioni che abbiamo coinvolto nel reportage non è completa: gli italiani che fanno radio all’estero sono tanti e non sempre è facile scovarli. Nella maggior parte dei casi non sono in contatto l’uno con l’altro, altre volte si conoscono per sentito dire o perché si sbirciano un po’ le idee a vicenda, ma la realtà dei fatti racconta di imprenditori del tempo libero lontani dalle smanie della competizione. Quella delle radio italiane all’estero è invece una storia di passione, di forze che nascono dall’entusiasmo e dalla consapevolezza di svolgere un ruolo culturalmente utile: una funzione che non è ricordata da nessuno, che ci scappa dalla mente e dall’attenzione perché rientra sotto quella bellissima e dura etichetta chiamata “volontariato”.

Ecco chi abbiamo scovato e coinvolto nel progetto, brevemente (nome della trasmissione e/o della radio, nazione in cui trasmette, nome dell’intervistato):

Trasmissione in italiano all’interno di 3ZZZ – Australia (Melbourne) – Angela Maisano
Cappuccino, trasmissione all’interno di Aligre FM e sulla webradio Top Italia – Francia (Parigi)Michel Goti
Italian Broadcast System, all’interno di CFUV Radio comunitaria del campus della University of Victoria (Canada) – Randy Gelling
Mediterradio, trasmissione trasmessa da France Bleu RCFM, Rai Sardegna e Rai Sicilia – Corsica (Francia) e Italia (Sardegna e Sicilia)
– Petru Mari
Radio ARA (con Voices by Passaparola) e Radio Gutt Laun – Lussemburgo Paolo Travelli
Radio Capodistria – Slovenia – Antonio Rocco
Radio Dublino, all’interno di Near 90.3 FM – Dublino (Irlanda) – Lorena Polidori
Radio Colonia, all’interno di Funkhaus Europa – Colonia (Germania) – Tommaso Pedicini
Radio Hitalia – Liegi (Belgio) – Lorenzo Ponzo
Radio Pizza – Da: Belgio, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svizzera – Roberto Paletta
Radio Stonata – Da Inghilterra e Italia – Eugenio Ceriello
The Great Complotto Radio – Da: Giappone (Osaka), Italia (Milano, Pordenone, Trieste), Spagna (Madrid), USA (Philadelphia) ed altro ancora – Stefano Diana

Chi le ascolta?

La prima domanda che è emersa spontanea all’inizio di questo viaggio da scrivania attraverso il webstreaming e lunghe chiamate via Skype è stata proprio: chi le ascolta?

Senza remore abbiamo chiesto ai diretti interessati quale tipo di pubblico sono riusciti a coinvolgere nel corso degli anni e abbiamo scoperto quanto trasversale la loro offerta sia.

Le prime orecchie a cogliere il segnale di queste stazioni ci fanno andare a ritroso nel tempo di decine di anni, quando il mezzo radiofonico era vissuto da molti italiani all’estero come il tramite nei confronti del Paese appena lasciato, e l’unico modo per avere accesso alla vita della società che li ospitava (di cui spesso non parlavano la lingua). In questa descrizione rientra in pieno una delle radio dalla storia più lunga tra quelle che abbiamo intervistato: Radio Colonia, voce italiana all’interno del canale Funkhaus Europa.

“Radio Colonia è cambiata con il cambiare della comunità italiana in Germania: all’inizio c’erano i Gastarbeiter degli anni Sessanta cui ci rivolgevamo all’epoca per cercare di orientare la vita di queste persone all’interno della società tedesca; parliamo d’italiani che nella maggior parte dei casi erano qui solo per il lavoro, completamente esclusi dalla società civile che li ospitava. La radio in italiano era il loro unico collegamento con la Germania e il servizio che permetteva di capire il sistema in cui vivevano. Negli anni Ottanta qualcosa è cambiato: molti di questi connazionali hanno iniziato a sposarsi, ad avere figli, spesso con donne tedesche: la struttura della nostra audience è quindi mutata. Oggi abbiamo una grande ondata di ascoltatori giovani (cervelli in fuga e no) e anche di tantissimi tedeschi: ci sono molti tedeschi infatti che apprezzano la cultura italiana e che ci usano in qualche modo come esercizio quotidiano.”

Mentre le contingenze storico-sociali hanno profondamente influenzato la natura degli ascoltatori, l’avvento del webstreaming ha reso il pubblico ancora più eterogeno. Prosegue Tommaso Pedicini, caporedattore della redazione di Radio Colonia: “Veniamo ascoltati abbastanza anche da italiani che vivono in Italia o in altri Paesi europei. Siamo passati da un pubblico più tradizionale di 52 anni fa, ad uno più eterogeneo e questa è quindi un po’ la nostra sfida oggi… Ci sono italiani che ci ascoltano perché proponiamo un approccio diverso rispetto ai media italiani, specie nei periodi in cui la stampa italiana è stata accusata di essere condizionata dalla politica: ricevevamo molte mail e lettere dall’Italia che dicevano di come il potere di guardare il tutto dal di fuori ci desse forse – secondo gli ascoltatori – un po’ di libertà in più. Abbiamo tuttora degli ascoltatori che gradiscono questa prospettiva diversa, che forniamo dall’altro lato anche ai tedeschi sulle notizie tedesche, viste da italiani che vivono in Germania da anni”.

Chi sono gli italiani all’estero?

Osservare le fasce d’ascolto e le relative sfide che queste stazioni e trasmissioni affrontano per esser d’aiuto al pubblico significa gettare uno sguardo sulla comunità italiana all’estero. O meglio, sulle diverse comunità d’italiani presenti fuori dallo Stivale.

Della comunità italiana a Parigi e del suo divario interno tra vecchi e nuovi venuti ci parla Michel Goti, conduttore di Cappuccino: “Per tanti anni c’è stata l’emigrazione contro il Fascismo prima della Seconda Guerra Mondiale, e poi dopo la guerra, per la crisi economica: molta immigrazione, fino alla metà degli anni Sessanta o addirittura agli anni Settanta. Poi con la ripresa dell’Italia, il numero d’immigrati in Francia è calato. Da un 7 anni invece con la crisi abbiamo molti, molti giovani… che è triste per l’Italia perché è gente di alta cultura con qualifiche che viene anche dal Nord. Vengono perché in Italia non trovano una posizione e qui aprono tantissimi ristoranti e molte boutique ma il problema di questa nuova generazione è che è molto incavolata con l’Italia e non vuole più saperne niente. Quindi quando li invito alle nostre riunioni per ritrovare un po’ il calore del loro Paese di provenienza, si rifiutano. Cercano d‘integrarsi con i francesi, non con gli altri italiani. Gli italiani di una volta avevano la nostalgia della casa, della famiglia, mentre i giovani di oggi sono europei e non hanno la necessità di raggrupparsi ed ascoltare musica italiana tutti insieme, s’integrano molto bene con la gioventù francese”.

Il signor Goti fa poi un tuffo indietro negli anni e racconta di una comunità italiana a lungo vista molto male dai cugini d’oltralpe, situazione di fronte alla quale si era risposto stringendo i denti e lavorando sodo sia per integrarsi che per emergere, sino a ricoprire oggi cariche importanti, anche politiche. “Dopo la guerra è stato un periodaccio per gli italiani! Dato che poi si sono integrati molto molto bene nel tessuto francese, oggi sono invece visti come degli amici, dei fratelli; e poi c’è l’Italia con tutte le sue bellezze che attira l’attenzione dei Francesi con un po’ di cultura. Anche la parola “rital” che era una parolaccia è ora diventata una cosa simpatica. Ma gli epiteti un tempo non erano simpatici per niente! Il riguardo viene oggi a mancare soltanto quando c’è di mezzo il calcio!” Aggiunge con una risata sorniona.

Cappuccino è una trasmissione settimanale che va in onda ogni domenica mattina alle otto su AligreFM, stazione comunitaria multiculturale che trasmette da Parigi. Si tratta di un contenitore che ripercorre i successi della musica italiana da Claudio Villa in poi, avvicinandosi sempre più ai tormentoni contemporanei a mano mano che le lancette volgono al mezzogiorno. Invitati in studio ci sono spesso giornalisti ed artisti, ma più che attirare l’attenzione dei nuovi venuti, gli ascoltatori sono soprattutto i primi immigrati e i loro discendenti: persone in cerca di un’identità.

Questione importante quella della ricerca dell’identità, sulla quale torneremo a breve.

Una realtà molto diversa, la troviamo in Irlanda e ce la racconta Lorena Polidori – anche di Radio Dublino parleremo con calma in seguito – cui abbiamo chiesto chi sono gli italiani che vivono nella capitale irlandese: “È una comunità che si è allargata sempre di più. Gli italiani che vivono a Dublino sono molto giovani (20-30-40enni), la generazione precedente – quella dei cheapers – è arrivata negli anni Cinquanta-Sessanta ed ha aperto dei fast food: una comunità abbastanza grande che proviene in particolare da una zona della Ciociaria. Negli anni 2000 durante tutto il periodo della Tigre Celtica sono arrivati sempre più giovani con lauree specialistiche: ovviamente Dublino è l’hub della tecnologia quindi molti lavorano nell’IT o molti altri nel customer service e nel settore finanziario. Alcuni sono arrivati per approfondire l’inglese e poi in seguito all’aver trovato lavoro sono rimasti. Abbiamo avuto in studio anche artisti: musicisti, scrittori, poeti emergenti… avendo un particolare interesse per il mondo della scuola abbiamo anche dato voce ad insegnanti d’italiano e a ragazzi venuti per degli scambi, senza dimenticare giornalisti e bloggers. In genere gli italiani che vivono a Dublino sono abbastanza positivi nel senso che apprezzano tutte le opportunità che l’Irlanda ha da offrire, quindi in genere dai nostri ospiti emerge molto entusiasmo; poi certo, c’è anche la fetta che non fa altro che lamentarsi! Ma in generale sono molto entusiasti, molto integrati e cercano sempre di trovare una collaborazione con il pubblico irlandese”.

Altro Paese, altra realtà; come la comunità italiana a Lussemburgo, raccontataci da Paolo Travelli (Radio ARA e Radio Gutt Laun): “Gli italiani a Lussemburgo sono un po’ snob, nel senso che quasi tutti qui sono economicamente benestanti, per cui tendono a non sentirsi molto legati al Paese dal quale provengono. Quindi tanti italiani ancora non conoscono la possibilità d’informazione che diamo: forse il giornale potrebbe essere obsoleto come forma di comunicazione rispetto a social media ed internet, tuttavia è un mezzo abbastanza importante perché strettamente legato alla comunità di qui. Questo un po’ il lato negativo. Il lato positivo: abbiamo tanti amici che ci sostengono, che generalmente sono un po’ in tutte le fasce d’età, ma spesso e volentieri sono le migrazioni più a lungo termine che ci appoggiano: dopo tanti anni che hanno lasciato il loro Paese, hanno bisogno di una forma di sostentamento comunicativo”.

Un modo singolare per capire chi sono gli italiani all’estero, come vivono e come si comportano è intervistare il manager di una radio straniera che ospita trasmissioni in lingua italiana, senza essere lui stesso un italiano! Randy Gelling, di CFUV fm, è stato schietto nei confronti dei nostri connazionali in Canada: “Gli italiani della seconda o terza generazione sono assimilati bene, tanto che non s’intuisce il loro background finché non si arriva sull’argomento”.

Cerchiamo allora di entrare nei dettagli: “In Canada c’è una divisione tra la comunità che viene dal Nord dell’Italia e quella proveniente dal Sud e mi viene da dire, perché portano questo problema qui? È ancora una questione aperta. Non ne ero consapevole finché non ho iniziato a lavorare con loro, allora mi sono reso conto che c’è un’associazione per il Nord e una per il Sud, poi i film hanno fatto il resto. C’è un po’ di conflitto tra le due associazioni, quindi abbiamo promesso che gli annunci di tutte e due le comunità vengano passati alla nostra radio”.

CFUV fm è una stazione comunitaria, più precisamente la radio di un campus universitario: la University of Victoria. Si tratta di una categoria radiofonica no-profit, fondata dagli studenti, che riceve fondi dalla comunità che rappresenta, restando indipendente ma pur sempre regolata dal governo. CFUV fa parte di una multicultural broadcasting production e trasmette in spagnolo, italiano, polacco, portoghese, giapponese, cantonese, svedese, tedesco e in lingue africane. Ad occuparsi delle trasmissioni sono le persone che provengono dalle rispettive comunità e quella italiana va in onda da ben 25 anni. Di solito i responsabili della stazione guardano a quelle comunità che non sono rappresentate e cercano chi se ne possa occupare: in Canada ci sono molti community center che sono legati alle varie comunità; la radio contatta i centri per sapere se c’è qualcuno che sia pronto a rendersi disponibile per questo livello d’impegno, che è elevato.

Insomma, ogni radio racconta la storia di una o addirittura di più migrazioni diverse all’interno dello stesso Paese. Impossibile riassumere tutte le realtà o farle rientrare all’interno di schemi stretti e predefiniti, meglio scoprire la vita delle comunità italiane all’estero passo passo.

Cosa significa fare comunità all’estero?

Che vuol dire essere una comunità di italiani all’estero? All’inizio della nostra ricerca ci siamo concentrati proprio sul ruolo che queste stazioni o trasmissioni in lingua italiana rivestono per gli italiani del Paese da cui trasmettono. Ci siamo immaginati un legame forte, anche se scosso dal vento d’integrazione portato dalle politiche di mobilità dell’Unione Europea e dal crescente tasso di scolarizzazione (che ha aiutato ad abbattere le barriere linguistiche).

Guardavamo insomma a delle entità radicate su un solo determinato territorio, o al massimo a fare da ponte tra Italia e resto del mondo. Non ci aspettavamo di scoprire delle realtà che hanno messo in dubbio il concetto stesso di comunità (territoriale) e che ci hanno obbligati a rivederlo, come Radio Pizza e The Great Complotto Radio. Due storie tra loro molto diverse, ma profondamente simili nel dare voce via streaming agli italiani che vivono all’estero in Paesi diversi.

Radio Pizza nasce e si sviluppa interamente all’estero e si articola in sei stazioni (una delle quali va anche in FM) a seconda del Paese in cui gli speaker vivono. The Great Complotto Radio nasce dalla cultura punk di Pordenone e con il tempo inizia ad allargarsi anche all’estero (anche in questo caso in più Paesi).

I primi cercano di ricreare un momento di convivialità con interviste ed approfondimenti a tema, i secondi puntano sulla crescita personale e professionale dei conduttori in erba. Due radio che in realtà si assomigliano molto e che non è giusto percepire come contrapposte: ognuna con le proprie caratteristiche, esse ampliano il senso del fare comunità all’estero che un italiano può conoscere.

Come racconta Roberto Paletta di Radio Pizza: “la radio è nata nel 2010 in Olanda, per gioco ed hobby da quattro ragazzi – per lo più studenti di ingegneria – che ora non abitano nemmeno più in Olanda. Invece di spendere il proprio tempo per connettersi con altri italiani su facebook, hanno deciso di fare radio. Poi, hanno passato il testimone ad altre persone e in altri Paesi hanno aperto lo stesso progetto. Definirci proprio una radio non è corretto secondo me: è più un’opportunità d’incontrarsi! A volte siamo in studio anche in 10-15 persone. Nasce dal divertimento e si divertono in tanti: è un progetto genuino proprio perché ci appassiona.”

Insistiamo per avere i dettagli su quest’atmosfera conviviale: “Ci sono puntate che non riusciamo a parlare dalle troppe risate… è proprio come se fossimo in pizzeria a mangiarci una pizza! Ad esempio, abbiamo fatto puntate intervistando un intero customer support italiano in un ristorante sotto la pioggia all’aperto. Senza divertimento non riusciremmo ad andare avanti… Abbiamo fatto anche altre trasmissioni parlando del rapporto di coppia misto tra un partner italiano ed uno olandese e lì nascono dei siparietti da morir dal ridere!”

Le parole di Stefano Diana su The Great Complotto Radio: “Io chiedo sempre a chi vuole partecipare di fare anche un certo tipo di ricerca rispetto ai contenuti che vuole proporre. Le radio del mainstream solitamente parlano di gossip, di tempo, del tipo di caffè che si preferisce la mattina: a noi queste cose non sono mai interessate! Per esempio, i due pianisti che trasmettono da Madrid spesso fanno interviste con altri musicisti solitamente italiani che per necessità sono andati all’estero, fanno trasmissioni legate alla musica classica o al lavoro e all’esperienza che li riguardano direttamente. Linda e Andrea invece erano a Beirut in Libano per un progetto di cooperazione e dapprima hanno da soli creato un programma chiamato Radio Beirut, poi tramite amici in comune li ho contattati e ho dato loro l’opportunità di entrare nel nostro gruppo: facevano un notiziario di mezzora sul Medio Oriente.”

Tutte e due le webradio puntano al coinvolgimento attivo e alla capacità di fare networking. A ben vedere anche questo è un modo molto social di fare e sviluppare comunità. Stefano: “Il nostro è un progetto di partecipazione, quindi non c’è una distanza tra chi racconta, chi va in onda e chi ascolta. Infatti non chiediamo di ascoltarci, ma di partecipare: ecco qui il senso di aggregazione. Il punto è dare il proprio contributo per fare emergere quell’Italia che è all’estero. Poi ovviamente nascono opportunità anche tra chi partecipa: i due conduttori di Madrid, attraverso le proprie interviste si sono creati dei contatti che sono utili al loro lavoro di musicisti, per organizzare dei concerti ad esempio. Quindi nascono opportunità, non solo di amicizia – che comunque ci sono – ma anche professionali… il sentirsi parte di qualcosa. La distanza tra chi parla e chi ascolta tra noi non c’è più. E’ un po’ il concetto dei social media.”

Roberto: “Noi di Radio Pizza ci troviamo per un meeting annuale di tre giorni, un weekend tra gli speaker dei diversi Paesi e ci scambiamo punti di vista, ci andiamo anche a divertire, ci conosciamo insomma. Il punto non è tanto fare radio, perché qui non siamo dei professionisti! Ciò che conta invece è il senso di incontrarci con altre persone per discutere come se si fosse tra vecchi amici anche se magari è la prima volta che ci si vede.” E dai loro microfoni sono davvero passati moltissimi italiani, sfruttando anche la sinergia tra diverse associazioni cercando di unire le due generazioni in Olanda: “quella degli immigrati per fare i minatori e la generazione legata oggi alle università. Abbiamo scelto la pizza, che anche se è uno stereotipo ci rappresenta in toto: davanti alla pizza si trovano tutti bene e si pongono tutti allo stesso modo; quindi da noi arriva davvero di tutto, dal ragazzo che è qui per tre settimane dentro un coffee shop all’ingegnere spaziale”.

Le istituzioni italiane

Ricapitolando: organizzano meeting, diffondono la cultura italiana all’estero, creano possibilità d’aggregazione anche a livello professionale… viene da chiedersi quale ruolo giochino le istituzioni italiane in tutto questo impegno espresso dalle stazioni radio. Di fronte alle parole dei nostri dodici intervistati, la questione si è nella maggior parte dei casi risolta con un sonoro: “alle istituzioni del nostro Paese d’origine importa ben poco del lavoro che stiamo portando avanti. Spesso non sanno nemmeno della nostra esistenza e del ruolo che svolgiamo!”

C’è chi si arrabbia, chi cerca di ricordare nomi e date d’incontri ufficiali, chi si lascia andare a qualche risata. Soprattutto, specialmente per le realtà più piccole, s’avverte un profondo senso di frustrazione, la grande solitudine dell’etere.

Cosa significa tutto questo? La generale mancanza d’attenzione genera poca conoscenza in materia, poca collaborazione, poco tutto; ma soprattutto, niente budget per venire in aiuto nei confronti di stazioni e trasmissioni che sostanzialmente o ricevono fondi dai Paesi che le ospitano e dalle loro politiche multiculturali, oppure si arrangiano. Possiamo quindi capire come questa sia stata la domanda che ha ottenuto le risposte più “calde” all’interno del reportage.

Chi invece sembra interessato a raccontare le loro storie è il panorama mediatico, che le “usa” per descrivere le avventure degli italiani all’estero. Media che quantomeno permettono a questi progetti spesso nati “a costo zero” di attirare l’attenzione, come ci racconta la voce di Stefano Diana.

A ben vedere però, il fatto di essere ufficialmente sganciati dalle stanze dei bottoni conferisce a questi speaker appassionati un maggiore senso di libertà: il concetto stesso dell’indipendenza. In questa seconda risposta c’è tutta la bellezza di chi lavora sorretto dalla propria passione e dalla convinzione dell’importanza delle iniziative che nascono e che si sviluppano dal basso.

Lorena Polidori è parte integrante dello staff di Radio Dublino: “Radio Dublino è un programma nato un anno e mezzo fa ed è in diretta ogni mercoledì sera dalle 9 alle 10:30. Nella prima parte ospitiamo delle rubriche e nella seconda abbiamo di solito un ospite in studio: o un italiano in Irlanda, oppure un irlandese in qualche modo all’Italia legato. La comunità italiana a Dublino conta sulle 10.000 presenze. Non abbiamo numeri ufficiali su quanti ci ascoltano, ma tramite i podcast riusciamo a monitorare un po’ l’ascolto e abbiamo anche una pagina facebook con oltre 700 like: stiamo crescendo sempre di più e ci arrivano sempre più contatti d’italiani in Irlanda che vogliono portare le proprie storie. Vogliamo promuovere l’integrazione della cultura italiana a Dublino, cerchiamo di portare alla luce anche informazioni un po’ di nicchia che magari non emergono nei media principali: privilegiamo insomma una lettura critica della realtà, scoprendo anche cose che non sono ancora al centro dell’attenzione. Vogliamo capire la vita degli italiani che vivono a Dublino, ma anche le differenze culturali tra i due Paesi, tra le due comunità. Noi siamo ospitati all’interno di un’emittente che è una community radio, che già quindi cerca di dare voce a ciò che i media nazionali ed internazionali non dicono. Ad esempio gli artisti, i musicisti italiani che suonano qui, cercando di promuovere anche la loro musica, i loro progetti” .

Parlando con Lorena, ci si rende conto di quanto la pura passione sia in grado di partorire: una trasmissione portata avanti da volontari, che lo fanno per hobby, ma soprattutto perché ci credono. Ben consapevoli della dedizione che un impegno di questo tipo richiede, gli speaker di Radio Dublino non si tirano di certo indietro: “Ci piace dare spazio a più voci, abbiamo quindi varie rubriche. Abbiamo anche lanciato un concorso per le scuole superiori rivolto agli studenti che studiano italiano, per inviarci una canzone che poi manderemo in onda. Oppure ad esempio la rubrica Dublino Retrò che si prende cura di riportare alla luce le canzoni classiche dagli anni Trenta in poi. Abbiamo anche delle collaborazioni con Made in Italy Radio (interviste ad italiani di successo) e con Backstage (contenitore per cantanti emergenti italiani). Parliamo anche di Erasmus Plus. Siamo stati anche media partner di eventi musicali qui in Irlanda, per esempio con gli Area e fra qualche settimana ci occuperemo di sponsorizzare il concerto dei Modena City Ramblers che verranno a suonare a Dublino; più avanti cercheremo di sponsorizzare anche il concerto di Battiato. In occasione del Festival di Sanremo abbiamo anche avuto una collaborazione con un giornalista italiano, che si è accreditato per partecipare per noi”.

Di fronte alle molte attività, ancora una volta viene da chiederselo: ma perché lo fanno? “Al momento il programma è interamente gestito da volontari che si sobbarcano le spese, è un po’ il nostro piccolo atto d’amore verso la cultura italiana per rappresentare l’Italia anche attraverso i media tradizionali come la radio. Ci piace anche ospitare gli irlandesi che parlano italiano, che sono interessati alla nostra cultura e che vogliono condividere pensieri e passioni sull’Italia”.

Parafrasando Lorena, le attenzioni da parte delle istituzioni sussistono per fare più che altro da ponte, non per ricevere finanziamenti. Parole simili sono usate anche da Paolo Travelli, che collabora con due radio lussemburghesi: per Radio Gutt Laun conduce Esperienze Sonore, mentre per Radio ARA tiene la rubrica VOICES, legata alla rivista PassaParola sulla quale scrive insieme ad altri giornalisti italiani. Nel 2004 è nata la rivista e quattro anni dopo è partita la radio: “Con le istituzioni c’è una sorta di collaborazione incrociata, nel senso che noi collaboriamo se possibile con loro qualora ci siano per esempio avvenimenti che riguardano personaggi che ci vengono a trovare; quindi siamo come la prima risorsa di comunicazione alla quale si rivolgono le istituzioni italiane per interviste, per passare le informazioni sui nostri media, ma non c’è un reale finanziamento legato a noi; tranne per il giornale, che riceve invece un finanziamento sia dal Comune di Lussemburgo che dalle istituzioni italiane.”

Non sempre sono disponibili finanziamenti però, come ci racconta Michel Goti (Cappuccino): “Ci sono due cose che mi dispiacciono tantissimo dell’Italia: prima di tutto che gli italiani che sono in Italia non sanno nemmeno di questi italiani che sono emigrati decenni fa e che sono ambasciatori dell’Italia e che come noi mostrano che il loro Paese non è solo mafia. Però il problema è anche che tutte le istituzioni non ci aiutano per niente, per loro noi non esistiamo. Questo è un po’ un rammarico. Un mio amico ha una rivista “La voce degli italiani in Francia” che inizialmente riceveva finanziamenti dall’Italia, poi hanno trovato la scusa che era troppo poco in italiano: ma lui faceva 50-50 per aprirsi anche ai francesi e invece lo Stato Italiano gli ha tolto il finanziamento. Sicuramente è una scusa, ma lui ora è in grande difficoltà e anche lui è un ambasciatore culturale”.

Comprensibilmente, c’è anche chi dalle istituzioni italiane è rimasto deluso, come dice Eugenio Ceriello di Radio Stonata (emittente a cavallo tra l’Inghilterra e l’Italia): “Noi vogliamo essere un momento di svago in cui si stacca la spina e ci si sente a casa. Lo facciamo per passione, a costo zero e a zero introito. Lo facciamo esclusivamente perché ci piace farlo. Le istituzioni quando abbiamo noi chiesto qualcosa sono sempre state disponibili, non hanno mai particolarmente chiesto loro nulla a noi ma personalmente trovo che siano un po’ deludenti. Non c’è questo grande supporto da parte delle istituzioni italiane all’estero, l’Ambasciata Italiana è molto molto inaccessibile, bisogna prendere appuntamento mesi e mesi prima. Non è assolutamente facile.”

Per completare il quadro, Roberto Paletta (sempre Radio Pizza ma soprattutto una vita trascorsa nell’ambito dell’associazionismo) sottolinea come il finanziamento alle associazioni di questi tempi non sempre sia possibile: “Le associazioni in passato rappresentavano l’italiano e da loro nascevano i rappresentanti delle comunità, in passato facevano infatti anche da tramite con le istituzioni. Oggi questa cosa ovviamente manca, oggi c’è Google che mette tutto in contatto a livello d‘informazioni. Oggi le istituzioni ci sono ma sono più di rappresentanza, anche se devo dire che abbiamo avuto diverse collaborazioni, come convegni in ambasciata (di cui abbiamo poi messo il podcast). L’istituzione non ha più la funzione che aveva prima, serve più a livello burocratico (passaporto), ma per procurarmi informazioni ad esempio sull’università o sul mondo del lavoro le cose sono cambiate. Noi come radio non abbiamo assolutamente ricevuto finanziamenti; penso che in passato le istituzioni italiane abbiano fatto qualcosa per le associazioni, ma era un altro periodo, un altro tipo d’immigrazione: non serve più finanziare il torneo di calcetto, la situazione è cambiata e poi il Consolato qui ad Amsterdam ha chiuso per la spending review, quindi è un po’ un controsenso mettersi a finanziare le associazioni senza scopi di lucro”.

Resta quindi un punto importante: come li vedono le istituzioni del posto?

Le istituzioni estere

Iniziamo dall’Australia, insieme ad Angela Maisano (Radio 3ZZZ): “Noi riceviamo un aiuto dal governo australiano, non da quello italiano. Il governo italiano in un certo senso sponsorizza i nostri programmi, perché vuole aiutare ogni comunità che viene qui ad avere tutte le informazioni di cui hanno bisogno. Veniamo aiutati un tot dal governo, un’altra parte di aiuto ci deve arrivare invece dagli ascoltatori: per tenere il programma dobbiamo avere almeno 40 membri all’ora che dimostrano interesse e che ci danno un piccolo contributo che è l’equivalente di nemmeno una tazza di caffè alla settimana. E ogni anno facciamo il Radiothon in cui apriamo le offerte e dobbiamo raggiungere un tot per ogni ora”.

Questo ci porta a chiederle se la politica del governo australiano sia sempre stata così favorevole oppure se con il tempo sia mutata. “È cambiata moltissimo! Ora appena le persone che arrivano hanno il diritto di restare in Australia, il governo le manda a scuola per imparare l’inglese, gli fa ricevere un sussidio. Tutte cose che quando sono arrivata io non ho visto. Ora invece il governo li aiuta molto e apre loro molte strade; infatti oggi ci sono interpreti in tutti gli angoli: dall’ospedale alla scuola, si trova sempre un interprete nella propria lingua.”

Due parole su RZZZ sono doverose per capire di cosa stiamo parlando: quando la stazione iniziò a trasmettere, gli italiani facevano parte delle comunità che soffrivano per la mancanza di attenzione da parte del governo australiano, che non si preoccupava appunto di aiutare gli immigrati dal punto di vista linguistico. Una volta aperta, la radio si trovò di fronte ad un’altra problematica: il governo non capiva cosa veniva trasmesso e quindi decise di farla chiudere. Nonostante la chiusura, chi aveva preso parte alla radio non si arrese e continuò invece a scrivere per poter aiutare la popolazione dal punto di vista linguistico, finché 3ZZZ poté riaprire. Le cose stavano infatti cambiando e oggi questa emittente è la più grande ethnic community radio d’Australia, riceve supporto da ben 63 gruppi etnici diversi, coinvolge fino a 400 volontari che trasmettono in 70 lingue diverse rappresentando così le proprie comunità.

Non è quello australiano l’unico caso di attenzione dimostrata da parte delle istituzioni estere nel finanziare le trasmissioni e le stazioni radiofoniche in lingua italiana presenti nel proprio Paese: “Le istituzioni lussemburghesi danno un contributo a seconda dell’importanza che ha sul territorio la radio. Noi non siamo una radio commerciale, quindi lo Stato ci dà una mano. Radio ARA è una radio multietnica con 5-6 lingue e selezione musicale multietnica: lo Stato si rende conto di questa ricchezza e ci viene incontro”. Come ci racconta Paolo Travelli.

Ci sono tuttavia alcuni casi per cui le istituzioni estere non hanno brillato, specie per quanto riguarda la difficoltà nell’ottenere la licenza di trasmettere. “La Francia riconosce due categorie di radio FM, le commerciali e le “associatives” e quest’ultima è anche aiutata dallo Stato, che ogni anno versa delle retribuzioni che permettono loro più o meno di vivere. Ma non vogliono più che le trasmissioni siano interamente in un’altra lingua, ora devono sempre includere anche il francese”. Ci racconta Michel Goti; gli chiediamo se non ha paura che con i tagli al budget pubblico, questa situazione possa cambiare in peggio: “Sì, sì, sì! È già da diversi anni che questi contributi vengono meno. E preparare il dossier per richiedere l’autorizzazione risulta sempre più complicato e ci sono radio che per questo anche rinunciano. Si ha diritto di fare pubblicità per un 20% del budget, per il resto si possono avere sponsor, ad esempio da istituti culturali, ma non vera pubblicità. Per dieci anni ho fatto un’altra trasmissione, sponsorizzata dalla Camera di Commercio Italiana e dall’Europa, ma ormai con i budget che sono tutti chiusi… è finito tutto”.

Sempre il signor Goti si ricorda come nella seconda metà degli anni Ottanta, molte radio italiane in Francia si siano spente: “Negli anni Ottanta ci sono state anche altre radio italiane, totalmente italiane (ad esempio Made in Italy e Transitalia), però il problema è che poi non hanno avuto il permesso di continuare: avevano un successo fenomenale a Parigi e trasmettevano 24 ore su 24. Quando c’è stata la liberazione delle radio in Francia nell’Ottantuno (quando è stato eletto Mitterrand) tutti si sono messi a fare le radio libere, poi c’è stata una grande confusione sulle FM e a quel punto le radio si accavallavano, quindi nell’Ottantasette hanno deciso di regolare la situazione, dando il permesso ad un numero limitato di radio. Ci voleva anche l’appoggio politico per ottenere l’autorizzazione e le autorità italiane non hanno avuto interesse a mostrare appoggio verso queste stazioni, che quindi sono state destinate a venire spente. Le autorità italiane hanno lasciato le emittenti da sole: emittenti che dal loro punto di vista erano forse troppo poco intellettuali”.

Parole circa le difficoltà legate alla modulistica arrivano anche da Lorenzo Ponzo, a capo di Radio Hitalia (che trasmette dal Belgio): “Abbiamo l’obbligo di proporre un palinsesto al 50% in francese e al 50% in italiano, praticamente un bilinguismo. All’interno dello stesso programma quindi passiamo da una lingua all’altra, che può essere un limite, ma è anche una ricchezza per raggiungere più persone: ad esempio gli italiani della quarta generazione. Questo bilinguismo è fatto apposta per permettere al Paese che ci ospita di capire cosa facciamo e di evitare di chiudersi ad una sola comunità. La nostra è una radio che è portata avanti da italo-belgi e secondo me questo conta anche nella presentazione del dossier per richiedere l’autorizzazione, poi ovviamente il progetto per ottenere successo deve essere solido: le richieste erano moltissime, gli eletti sono stati pochi; noi siamo stati scelti secondo me perché facciamo radio, andiamo sul terreno, abbiamo contenuti, un’anima, rispettiamo quanto diciamo.” Anche per la musica, ci sono delle percentuali da rispettare: “Il 4% di artisti che nascono in territorio francofono, il 20% di musica francese; ma ci rimane comunque una bella fetta di musica italiana, che possa arrivare agli italiani della prima generazione, ma anche a tutte le successive”.

Soffermiamoci un attimo su questa stazione, che ha toccato l’etere per la prima volta il 25 aprile del 2004. Radio Hitalia nasce da un dato di fatto: la grande comunità italiana presente nella zona di Liegi, di cui molte persone sono rimaste ancorate all’Italia e hanno voglia di sentire l’italianità che le contraddistingue. Ne è nata una radio soprattutto a sfondo culturale, che dà spazio al mondo dell’associazionismo; non solo in onda, ma anche fuori ad organizzare eventi, volti a coinvolgere sempre più ascoltatori: “La fascia più difficile da raggiungere è forse quella degli italiani della quarta generazione, che sono nati qua e hanno preso altre abitudini. Però devo dire che abbiamo fatto anche nascere la moda della notte italiana e abbiamo avuto anche un gran bel pubblico giovane nelle discoteche. Il fatto che l’italiano poi torni a capire chi è di origine l’abbiamo constato anche noi”. E per coinvolgere il pubblico, si trovano modi diversi: “L’8 agosto è una giornata in cui noi siamo sempre in diretta da Marcinelle: è per noi una di quelle date segnate nell’anima. Oppure, io personalmente ho un programma che si chiama “L’incontro – la Rencontre” in cui parlo con gli italiani che hanno una storia da raccontare. È sempre suscitare la curiosità dell’ascoltatore: se l’interesse e la curiosità non vengono suscitati, la gente non ti ascolta. Ad esempio: chi è quest’italiano, perché è venuto in Belgio, quanto c’ha messo a portare la famiglia? “L’incontro” lo propongo da 10 anni e continua e secondo me è uno dei programmi più longevi dal punto di vista radiofonico al mondo”.

Una radio di volontari che per tenere in piedi il progetto culturale ne cura anche la parte commerciale: “ci dobbiamo autofinanziare. Ci dobbiamo pagare tutto”. Dieci anni di vita non sono pochi e anzi permettono di gettare uno sguardo attento sugli italiani in Belgio: “Questa razionalizzazione e riorganizzazione della rete consolare hanno fatto che si chiudesse un consolato come quello di Liegi. Un consolato importante a capo di 60-70.000 italiani con il quale avevamo molto collaborato: è venuto a mancare un punto d’incontro, un riferimento anche culturale importante”.

Una storia diversa, riguarda stazioni come Radio Capodistria – di cui parleremo più avanti – o come Radio Colonia – di cui abbiamo parlato all’inizio. Funkhaus Europa è il sesto programma radiofonico del WDR: trasmette dalla mattina alle 6 fino alle 18 in lingua tedesca con temi che riguardano l’integrazione, la multiculturalità, la musica di diversi Paesi e poi dalle 18 in poi si trasmette nelle lingue straniere. Facendone parte, Radio Colonia vive di finanziamenti pubblici: in pratica il corrispettivo del canone italiano, che le fornisce risorse sufficienti per tenere in piedi una piccola redazione, una rete di collaboratori esterni ed un’ora al giorno di trasmissione, in onda dal lunedì al venerdì. Il tutto, senza pubblicità e ovviamente senza finanziamenti dall’Italia.

Al servizio degli ascoltatori

Che vantaggio hanno le istituzioni estere a fornire supporto a trasmissioni in lingua italiana? Non è difficile immaginare che immigrati che dispongono di servizi d’informazione nella propria lingua, siano cittadini maggiormente integrati, come ci raccontano da Radio 3ZZZ:

Radio RZZZ fa parte delle emittenti che hanno dato la possibilità a giovani studenti italiani di farsi le ossa a livello radiofonico, ma all’estero. Ci racconta ancora Angela: “Abbiamo avuto cinque giovani da Milano, alcuni di essi mandati dall’università, per fare lo stage qui a Melbourne alla nostra radio per tre mesi. La prima giovane venne in Australia nel 2004, la seconda l’anno successivo, la terza nel 2006 poi due giovani: uno nel 2007 l’altro nel 2008 ed ora ancora comunichiamo con loro. Verso la fine del 2012 abbiamo avuto un’altra giovane che è stata con noi per 9 mesi come volontaria e ha fatto il corso di broadcaster (che la nostra radio offre gratuitamente)”.

Quest’ultima ragazza, una volta tornata in Italia, in occasione del terzo anniversario per la Giornata Mondiale della Radio indetta dall’UNESCO (il cui tema era le donne) ha scritto:

“In questa giornata dedicata alle donne broadcaster il mio pensiero non può che non andare alle colleghe di radio Rzzz, Radio australiana dove mi sono formata. Qui ho incontrato un team di donne coraggiose e agguerrite che hanno fondato il programma “Women’s world”, per avere quegli spazi radiofonici che spesso i colleghi uomini non le lasciavano. E il pensiero più grande ovviamente va a lei, Angela Maisano, che dopo 20 anni di cuffie in testa di radio ne sa davvero tanto. E a lei va un ringraziamento speciale visto che ha avuto la pazienza e la voglia di insegnarmi un mestiere bellissimo. Grazie Angela, ora non temo più la mia voce !”

In alcuni casi, le radio in lingua italiana desiderano solo svagare l’ascoltatore, ma che siano più o meno impegnate a livello di contenuti, esse offrono comunque informazione attuale e spesso pensata per un pubblico italiano. Spesso, riconoscono anche gli errori dei propri connazionali, come racconta Eugenio Ceriello (Radio Stonata): “Gli italiani che vivono in Inghilterra per lo più sono giovanissimi, vengono a cercare lavoro: all’inizio soprattutto si accontentano di fare anche lavori molto umili e fanno molti errori, ad esempio il fatto d’identificare l’Inghilterra con Londra (città carissima). Quelli che ce la fanno è perché hanno un background di qualificazione forte, oppure quelli che non vanno a Londra ma in altri luoghi. Londra è veramente un porto di mare per gli italiani: sono tantissimi quelli che arrivano e anche moltissimi quelli che se ne ripartono. Ovviamente, il buon 70% dell’economia inglese va nella capitale e abbiamo sempre avuto la concezione che a Londra si fa fortuna e si può ricominciare, ma in termini di costo della vita e degli affitti è una città invivibile”.

Anche questa è una realtà da raccontare e la sua Radio Stonata lo fa, cercando un format ed uno stile adeguati a seconda del target: “I dati ci dicono che i nostri ascoltatori sono giovanissimi, il 70% delle persone ha meno di 20 anni, il 90% meno di 35. Cerchiamo di veicolare le informazioni che possono essere anche più pesanti in una maniera che risulti meno pesante all’ascolto. Magari puntando sulle storie: ad esempio abbiamo raccontato la storia di una ragazza che ha trovato tutto qui (dal lavoro all’amore) e di un ragazzo che è trattato come uno schiavo e che vorrebbe tornare da sua madre. I contenuti sono anche legati alla comunità italiana a Londra. Cerchiamo di raccontare anche l’estero dal punto di vista degli italiani agli italiani e questo spesso si traduce in informazioni pratiche per chi sta pensando di emigrare. Anche perché dietro internet ci sono molte frodi, agenzie che ti promettono di trovare casa e lavoro dietro una modica cifra”.

Radio Stonata ha anche qualche programma che trasmette dall’Italia, ma la sede vera e propria è nel Regno Unito, di modo di poter prender parte agli eventi in entrambi i Paesi e da avere un pubblico che sia 50-50, senza dimenticare gli italiani che li ascoltano dagli Stati Uniti, dal Giappone e dalla Germania. Radio Stonata “prova fondamentalmente a raccontare l’Italia a chi non c’è e viceversa. Proviamo a raccontare tutto quello che accade in Italia in termini di notizie, d’informazione, di eventi. Cerchiamo di dare loro un occhio che sia il più possibile oggettivo ma è comunque una radio che si basa fondamentalmente sull’intrattenimento”.

Capita poi che le radio all’estero vadano proprio controcorrente, come quando si tratta di fare conoscere musicisti italiani snobbati dalle case discografiche cui molte emittenti italiane sono legate.

È proprio Paolo Travelli a parlare della capacità della radio in lingua italiana all’estero di fare da aggregante rispetto alla comunità: “Sì, sì, assolutamente. Capita che i nuovi arrivati ci mandino il curriculum per collaborazioni o ci chiedano informazioni circa i migliori modi per arrivare, cercare lavoro, ambientarsi qui. Siamo diventati un ufficio di collocamento ambientale e anche quelli che sono qui da tempo ci rivolgono domande particolari, come l’organizzazione di concerti con i loro artisti preferiti”. In generale, possiamo tranquillamente dire che queste stazioni diffondono la cultura italiana, senza che la cosa sia troppo presa in considerazione in Italia. Lo fanno nei contenuti, ma anche nello stile. Come quando si tratta di creatività.

Soprattutto, esse svolgono un servizio linguistico su più fronti: sia quando i Paesi che li ospitano si scoprono interessati ad imparare l’italiano (proprio come si raccontava Tommaso Pedicini circa la Germania), sia quando sono le seconde generazioni d’immigrati italiani ad esser desiderose di ritrovare le proprie radici. Come dice Michel Goti: “ci sono le seconde e terze generazioni d’immigrati che con il tempo vogliono riscoprire un po’ d’italianità e allora piano piano vengono. Hanno dai 30 al 40 anni, una volta non erano interessati, ora sì”. Mentre i giovani di origini italiane ritrovano la propria identità, la trasmissione Mediterradio dà voce corsa – ed italiana – ad un’isola la cui identità linguistica è sempre stata una questione spinosa.

Petru Mari parla da oltre diciassette anni all’interno della trasmissione Mediterradio, programma di attualità mediterranee che mette in contatto Sardegna, Sicilia, Malta, Tunisia e naturalmente Corsica. Proprio in Corsica è nato il programma, dalla costola locale (RCFM) dell’emittente radiofonica pubblica francese Radio France. “Il corso è una lingua vicinissima al toscano. Abbiamo creato questa trasmissione per valorizzare la lingua corsa parlando con i nostri vicini parenti toscani e sardi, loro parlando l’italiano e noi parlando il corso. Per noi è interessante piazzare la Corsica nel suo ambito geografico e storico naturale che è il bacino italico”.

Corso ed italiano non sono esattamente la stessa cosa, tra diverse isole ci si capisce? “Loro parlano in italiano e noi parliamo in corso. Il toscano è sempre stata una lingua che fa parte della storia dell’isola: era il livello colto della lingua locale (Chiesa, politica, borghesia), il corso invece era la lingua della popolazione. Il francese poi si è imposto quando siamo diventati francesi e la Francia ha lavorato per buttar via l’italiano dalla Corsica. Noi riteniamo che sia importante riavvicinar l’italiano e il corso e i corsi piano piano accolgono l’italiano come qualcosa per rendere più ricca la nostra lingua e il tutto è accolto molto positivamente”.

Nel panorama radiofonico, uno spazio tutto particolare lo merita Radio Capodistria, emittente storica costituita nel 1949 in un territorio all’epoca conteso da Italia e Jugoslavia. La lotta territoriale si svolgeva anche a colpi di propaganda, con diverse emittenti che si facevano la lotta; Radio Capodistria portava avanti la sua battaglia trasmettendo in tre lingue diverse: italiano, sloveno e croato. Con il Memorandum di Londra del 1954 e la certezza di un confine di Stato ben definito, la storia dell’emittente sembrava dovesse finire; invece grazie ad un trasmettitore in onda media essa ha trovato grande pubblico anche in Italia, anche perché incarnava un modo diverso di fare radio rispetto alla Rai. Attraverso la storia, Radio Capodistria (che opera nell’ambito dell’Ente pubblico radiotelevisivo della Slovenia – RTV Slovenija) è arrivata fino a noi, come ci racconta Rocco Antonio: “dal Novantaquattro siamo parte integrante del servizio pubblico radiotelevisivo sloveno, svolgiamo il ruolo fondamentale di essere mezzo d’informazione per la comunità italiana rimasta qui dopo il grande esodo che ha svuotato praticamente queste nostre bellissime città dalla popolazione autoctona”.

Degli esuli, delle Foibe e di altre questioni delicate, Radio Capodistria non ha paura di parlare; anzi, ha iniziato a farlo molto prima rispetto ad altre fonti d’informazione e continua a farlo. Gli ascoltatori oggi vanno dagli italiani rimasti tra Croazia e Slovenia, a quelli che si sintonizzano dall’Italia o da altre parti del globo (come l’America ed il Nord’Africa), agli italofoni di quest’area dei Balcani (fino al 60% del pubblico).

“Gli esuli purtroppo sono una categoria molto numerosa: 300.000 persone se ne sono andate via nel dopoguerra. Abbiamo rapporti istituzionali con alcune associazioni e con singoli che tornano e che tramite la radio hanno mantenuto vivo il contatto. I nostri contatti sono con le associazioni di esuli e anche con quelle delle associazioni degli italiani che sono rimasti e che collaborano con gli esuli. E poi appunto ci sono i contatti con i singoli, quindi più personali. La grande parte degli esuli ha nei confronti dei rimasti un atteggiamento piuttosto negativo e in qualche maniera negazionista: hanno naturalmente anche molti argomenti in loro favore. Il problema è che gli italiani sono restati qui non per scelte politiche o ideologiche, ma per piccole oasi che sono rimaste: sono molto orgogliosi delle proprie tradizioni, della lingua, della cultura e hanno cercato anche di mantenere un sistema scolastico con caratteristiche proprie e la presenza della lingua italiana sul territorio (che qui è autoctona). Negli ultimi decenni si è cercato anche a livelli istituzionali molto alti di ricostruire un dialogo tra esuli e rimasti e anche noi come stazione abbiamo contribuito, anche parlando di temi come le foibe quando ancora se ne parlava poco. Cerchiamo di assecondare il lavoro di quelle associazioni che vanno nella direzione di una riconciliazione e di una programmazione comune futura, visto che siamo gente delle stesse terre e con gli stessi scopi, perciò come emittente cerchiamo di favorire il dialogo”.

Il dialogo e l’integrazione passano direttamente dai microfoni, attraverso uno strumento di comunicazione che si dimostra sempre più vivo e capace di mettere in contatto, superando quando possibile le differenze. Di questo ruolo e del suo rapporto con gli esuli si sono rese conto anche le istituzioni italiane, aggiungendo una nota positiva a quanto detto finora a riguardo: “Ci sostengono molto. Più che altro indirettamente: grazie ai finanziamenti che l’Italia destina alla minoranza italiana per le attività culturali, tramite l’associazione degli italiani in Slovenia e in Croazia (l’Unione Italiana, con sede a Fiume) riusciamo ad ottenere sostegno per svariati progetti, sia di sviluppo tecnologico che ad esempio per documentari. Dall’Italia abbiamo un sostegno molto ampio, anche tramite le regioni: specialmente il Friuli Venezia Giulia, ma abbiamo avuto sostegni anche dal Veneto. Sostegni che ci aiutano a continuare a lavorare e a diffondere il nostro messaggio di speranza per il futuro”.

Sulle capacità della radio nel panorama dell’integrazione tra popoli, ci offre qualche spunto di riflessione anche Tommaso Pedicini (Radio Colonia), al quale abbiamo chiesto di commentare il fenomeno Pegida che da mesi ha fatto tornare lo spauracchio di una Germania intollerante.

La forza della radio

Quanto detto finora, sarebbe possibile con un altro mezzo di comunicazione, oppure si tratta di caratteristiche specifiche del mezzo radiofonico? In altre parole, le risposte sin qui raccolte ci hanno dimostrato che parlare di radio ha ancora un senso, ma perché proprio la radio e non un altro mezzo di comunicazione? Che cos’ha di speciale la radio? A quanto detto finora, per completare il quadro abbiamo deciso di aggiungere il fatale confronto: radio o televisione?

Signor Ponzo (Radio Hitalia), perché proprio una radio? “Sulla televisione secondo me i costi sarebbero stati superiori e poi ci mancava forse l’expertise. Abbiamo fatto quello che sappiamo fare meglio dal punto di vista della comunicazione e la radio continua ad essere uno dei mezzi che arriva meglio alla gente. Io ho un passato radiofonico alle spalle, ho preso parte alla radio belga che è l’equivalente della nostra Rai, facevo un programma chiamato “Ciao amici”. E abbiamo scelto l’FM perché secondo me la radio è FM: sul web comunque ci siamo, ma l’FM era la strada per arrivare meglio all’italo-belga ed era una possibilità concreta che esisteva”.

Stessa domanda, speaker diversi…

Lorena Polidori (Radio Dublino): “La radio è un mezzo di comunicazione diverso rispetto alla scrittura, più interattivo in un certo senso, c’è uno spirito di scambio, il fatto stesso della diretta porta anche una certa freschezza: l’essere sempre aggiornati ed in costante movimento. La radio cui ci appoggiamo ha anche una sezione televisiva, la scelta di essere radiofonici è nata dal produttore. Personalmente non sono una grande fan della televisione, il mezzo della radio è sempre stato parte di me. Però magari potremmo esplorare più avanti anche la possibilità televisiva, perché no?”

Roberto Paletta (Radio Pizza): “Già la radio è difficile, per la TV dovremmo avere più tempo e maggiore preparazione, che noi non abbiamo. Chiaro però che nel momento in cui dovesse arrivare l’opportunità – abbiamo già avuto occasione di fare diretta streaming di un convegno – lo faremmo. Ma abbiamo bisogno di maggiore preparazione”.

A Stefano Diana chiediamo quindi cosa cambierebbe se invece di una radio The Great Complotto Radio fosse una televisione: “E’ un sistema comunicativo completamente diverso. Una domanda che mi mette in difficoltà. Non ho esperienza di TV e non posso quindi tracciarti un paragone”.

Eugenio Ceriello (Radio Stonata) ci spiega perché una webradio e non una webTV: “Semplicemente per un motivo d’immediatezza. E poi la webTV richiede molto più lavoro, richiede strutture più adeguate. La radio ha sempre la possibilità che se succede qualcosa io apro un microfono e sono in onda e chiunque mi può seguire facilmente anche dallo smartphone, quindi sia per la realizzazione che per la fruizione è tutto estremamente più facile”

Inoltre, non dovremmo dimenticare quanto detto così bene sempre da Stefano Diana: “Io credo che fare radio migliori soprattutto se stessi, in generale, perché ti spinge a dimostrare il meglio che sai fare, il meglio che sai comunicare. È un’esperienza estremamente gratificante per se stessi”

Quale futuro?

Ora che abbiamo visto come la radio in lingua italiana all’estero non è un mezzo morto, restano comunque due questioni di fondo che appaiono come insolute: la necessità di passare il testimone nel caso di quelle emittenti e di quelle trasmissioni che sopravvivono da anni e che hanno un pubblico dall’età sempre più avanzata; la mancanza di considerazione in cui il lavoro di queste emittenti è spesso tenuto. A parlare per il primo caso, lasciamo che sia la voce di Michel Goti, da anni ormai a capo di Cappuccino.

Il primo passo per raggiungere un pubblico più vasto passa sicuramente anche dalla tecnologia e quindi anche dal webstreaming. Ad esempio, Cappuccino viene trasmesso in FM, ma anche dal sito di AligreFM: e inoltre, le puntate sono raccolte anche sulla webradio Top Italia. Top Italia raccoglie e ripropone così sia Cappuccino che un’altra trasmissione in onda sempre a Parigi: Italoscopie, condotta da Carmelo Mondello sull’emittente libera RVVS.
La soluzione all’aspetto del futuro è di fatto già presente: molti dei casi che abbiamo presentato coinvolgono persone giovani con un pubblico giovane; le forze non mancano, quello che è necessario è forse invece il fatto di diffondere l’idea che resistere sia possibile, magari tramite la vecchia regola secondo la quale è l’unione a fare la forza. Alcuni di loro, come Radio Colonia, fanno già parte di un network: la Comunità Radiotelevisiva Italofona. Racconta Tommaso Pedicini: “Siamo associati in quanto Radio Colonia: è un network che è stato fondato in primo luogo dalla Rai. Per noi si tratta di un modo per confrontarsi sull’italiano e l’italianità nei diversi Paesi soprattutto europei. Ci sono più realtà che fanno parte della comunità e sono inserite in palinsesti di altre radio pubbliche”.

Sull’importanza di acquisire visibilità, lasciamo la parola a Lorenzo Ponzo, di Radio Hitalia.

Fare un convegno a livello internazionale, la cui eco giunga anche in Italia, potrebbe essere il primo passo verso la riscoperta di queste stazioni. Molto dipende di certo anche dalla stampa italiana e dal suo modo di rendere le notizie: anche per questo, una volta raccolte le risposte di cui eravamo in cerca, ci è sembrato fondamentale sottolineare quest’aspetto di visibilità che abbiamo sentito come carente.

Tirando le somme

Chiudiamo il reportage sulle radio in lingua italiana che vanno in onda fuori dallo Stivale, consci di tre cose fondamentali: 1) la vitalità estrema di un mezzo che sembrava morto e che invece continua a fornire il proprio servizio in modo puntuale, presente ed alternativo nella vita degli italiani all’estero (ed in Italia); 2) la necessità di parlare maggiormente degli sforzi che questi speaker italofoni fanno per non lasciare soli i propri connazionali e per contribuire a sottolineare le bellezze della cultura italiana, anche all’estero; 3) questa la parte più inaspettata che non ci immaginavamo di trovare: si spengono i microfoni del nostro reportage, chiudiamo Skype e archiviamo il materiale raccolto, ma decidiamo di non lasciare sole queste stazioni: dare voce non sempre basta, per questo, come già promesso ad alcuni degli intervistati, provvediamo affinché tutte le persone coinvolte in questo reportage entrino in contatto tra di loro: facciamo opera di networking, iniziando con una mail, poi… e poi chissà! Come abbiamo toccato con mano, il mondo dell’etere non finisce mai di stupire.

Anche in chiusura, vi lasciamo con la voce di una delle persone che abbiamo intervistato: Paolo Travelli ci ricorda l’importanza della radio in italiano all’estero quando si tratta di diffondere il made in Italy: buon ascolto!