C’era una volta un bambino che ha incontrato Giorgio Panariello per strada dicendogli che lui non esisteva. Io, invece, ho creduto davvero per anni alla favola di Re Giorgio del sabato sera, come si crede a Babbo Natale. Pensavo a Torno Sabato come l’ultimo paese dei balocchi della televisione italiana e a lui come un eterno Peter Pan, che ha fatto dell’isola che non c’è un villaggio delle vacanze per toscanacci (e loro simpatizzanti).
Proprio come Fiorello, avranno pensato quelli di Mediaset, con una differenza: Fiorello, nel bene o nel male, esiste. Lo riconosci tutti i giorni, nell’agenda setting dei media più fighi, all’edicola, nel buongiorno Twitter di milioni di italiani, nel mondo delle cazzate radiofoniche e dei tapiri a buon mercato.
Panariello, invece, è quello che dopo tanti anni si nasconde ancora dietro Naomo o il saudagi come un bimbo sotto la gonnella della mamma. Senza le sue macchiette ha fatto un Sanremo funereo e poi Notte prima degli esami oggi come padre di Nicolas Vaporidis. Poi è andato ospite dalla De Filippi qualche volta e, con Paolo Bonolis, ha ballato con un bambino una canzone di Michael Jackson toccandosi il pacco. Panariello è lo stesso che ci ha ammorbato negli ultimi anni nelle pubblicità della Wind. Ora è tornato in versione cantafrottole, in una cornice favolistica che rende il suo animo goliardico surrealmente infantile.
Al di là di tutti questi palliativi, Giorgio Panariello dimostra artisticamente, nel senso “a tutto tondo” del termine, di essere come Babbo Natale. Tenetevi forte: non è mai esistito. Lo dimostra in un inconsistente ritorno sulle scene dopo anni di stop, contorniato da una scenografia faraonica che ne enfatizza tutti i limiti di saltimbanco. E da Nina Zilli, che con la sua antipatia da vendere è la spalla peggiore che possa avere un comico.
Il problema, poi, di fare un show su Mediaset è che loro non potranno mai permettersi di ingaggiare, e avere, Celentano e Benigni e Fiorello e quindi chiunque prendano sembra un comodo surrogato. In più, in Panariello non esiste, si riscontra lo stesso limite dello show di Checco Zalone, che pure era registrato: l’incapacità di legare i momenti di varietà. Tiziano Ferro appare per un po’ di amarcord e sparisce nell’insensatezza generale, la Ramazzotti prova a dare un po’ di luce senza rinnegare di essere in promozione (mentre su RaiUno andavano tutti dopo il weekend per il solo gusto di esserci).
Ci mancava solo l’avvocato Taormina, nel siparietto in cui interrompe la favola di Giorgio elencando una serie di reati, a esasperare il lato “buffonamente grottesco” del tutto. Non a caso, lo studio Fellini che con Fiorello faceva rinascere il varietà, su Canale5, sembra quello della Corrida di Insinna. E a poco servono i tributi a Charlie Chaplin e le citazioni a Totò, se per far contenta la tv commerciale ficchi un monologo di parodia sui reality, peraltro ampiamente superato dalla crisi degli stessi. Più che mescolare alto e basso, i testi dei troppi monologhi di Giorgio denunciano una superficialità desolante, rivelandosi un’accozzaglia di facili spunti di attualità e battute populiste. Ne ripercorriamo alcune delle più imbarazzanti:
Panariello non esiste – Prima puntata
“Ma tanto quello che se le passa tutte è Emilio”.
“Per un bambino io, i Gormiti, Bruno Vespa siamo la stessa cosa”.
“Crollano le carriere politiche, cadono i governi, si sono dimessi i ministri, altre lo sono diventate, per una moldava si piccano le navi contro gli scogli”.
“Berlusconi stai sereno. Non c’è neanche una battuta su di te. Ma tu torna, se no come fa Santoro?”.
Che fa il
neurologonefrologo? Per la schiena, può essere. Il podologo per l’ipod”.
“Tra poco ci chiederanno anche il televoto. Chi vuoi eliminare, Michele, Cosima o Sabrina?”.
Qualcuno mi spiegherà se gli autori, che pubblicavano su Twitter le foto del brainstorming a San Gimignano, hanno trovato un’ispirazione che ha giustificato il costo della trasferta. Vista la mediocrità sconcertante del debutto, ampiamente denunciata dai promo al limite dei danni morali.
Detto questo, Panariello c’è solo quando, a un certo punto, si mette un naso da clown. Qualcuno gli dica che potrebbe essere la sua vera vocazione.