Home Serie Tv Pietro Valsecchi: “C’è un’Italia arretrata che si accontenta di fiction stereotipate”

Pietro Valsecchi: “C’è un’Italia arretrata che si accontenta di fiction stereotipate”

Le dichiarazioni rilasciate dal produttore ad AdnKronos.

pubblicato 3 Maggio 2015 aggiornato 2 Settembre 2020 15:28

Da una parte c’è Il Segreto che continua a fidelizzare spettatori su spettatori, raggiungendo numeri in prima serata al limite dell’impensabile per una soap opera.

Dall’altra, ci sono le critiche alla fiction italiana media che si rinnovano periodicamente. Gli emittenti, fino ad ora, sono stati Carlo Freccero, direttore dell’ultima edizione del Roma Fiction Fest, i registi Paolo Virzì e Saverio Costanzo, Roberto Saviano e, ultimo in ordine di tempo, Pietro Valsecchi, proprio lui, colui che, nella sua carriera di produttore, ha inanellato successi televisivi come Distretto di Polizia, Squadra Antimafia – Palermo Oggi, Il tredicesimo apostolo, R.I.S., I liceali e il recente Il Bosco, tanto per citarne alcuni.

Valsecchi, sostanzialmente, con una serie di dichiarazioni concesse a AdnKronos, ha ribadito critiche già ascoltate in passato. A differenza dei nomi precitati, però, il produttore ha voluto analizzare il successo de Il Segreto (pur non nominandolo, il riferimento è lampante), collegandolo alla crisi di contenuti delle nostre fiction:

C’è una Italia culturalmente, socialmente ed economicamente, e anche anagraficamente, arretrata, che si accontenta di una fiction didascalica, che ama le storie prevedibili, i personaggi tutti d’un pezzo, le biografie agiografiche; insomma una serialità rassicurante e banalizzante. Esiste molta fiction che rispecchia in pieno questo obiettivo, che raggiunge spesso grandi ascolti ma che non racconta l’Italia vera, che non elabora un linguaggio contemporaneo, che ripropone stereotipi e può quindi essere insidiata da prodotti di acquisto rivolti a un target simile, come dimostra il successo delle telenovelas spagnole. Esiste poi un’altra fiction, minoritaria, che si rivolge invece a un pubblico diverso, un pubblico molto esigente abituato a confrontarsi con le serie americane, al quale bisogna offrire un prodotto non banale, legato alla realtà anche più controversa, realizzato con un linguaggio dinamico e innovativo. E questa è la fiction che Taodue si è sempre sforzata di fare e continua a fare anche rischiando negli ascolti perché non è facile parlare a questa Italia che si sta allontanando dalla televisione generalista.

Alla luce di queste dichiarazioni, è impossibile non provare a mettere a paragone Squadra Mobile, l’ultima fiction Taodue in onda su Canale 5, e la serialità statunitense tirata in ballo da Valsecchi.

Un prodotto come Squadra Mobile può davvero competere con serial come, ad esempio, True Detective o Breaking Bad?

Rischia di essere una domanda retorica…

Le dichiarazioni di Valsecchi continuano:

E’ da evitare in questa fase del mercato, realizzare una fiction “già vista”, puntando a un’audience indifferenziata: oltre a non essere mai sicuri dei risultati, si tratta di un’operazione miope che rischia di rendere la fiction un prodotto sostituibile da prodotto importato, che ha anche il vantaggio di costare molto meno. O si produce qualcosa di significativo e originale o saremo sempre più marginali nel mondo.

Anche in questo caso, le dichiarazioni sulle fiction “già viste” stridono fortemente con il reale obiettivo di Squadra Mobile che è apparsa subito come un tentativo di ritornare ai fasti delle prime edizioni di Distretto.

Un tentativo purtroppo malriuscito.

Foto | © Getty Images