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Fuori gli Autori – Stefano Santucci a TvBlog: Quando la Rai disse della Ghigliottina: Non è adatta per il preserale di Rai Uno

Per “Fuori gli Autori”, oggi esce qui su TvBlog Stefano Santucci.

di Hit
pubblicato 5 Settembre 2014 aggiornato 21 Gennaio 2021 17:14

Non si fermano gli appuntamenti con la rubrica estiva di TvBlog “Fuori gli Autori”. Anche oggi diamo spazio e parola ad un autore televisivo che scriverà appositamente per noi il suo “Tema libero sulla Tv”. Padrone di casa odierno del nostro appuntamento è Stefano Santucci, vero Re Mida del game show, in particolare della pregiatissima ed importantissima fascia del preserale. Ideatore della celebre “Ghigliottina” dell’Eredità sulla prima rete della Rai, ma anche di Avanti un altro su Canale5, Santucci è stato anche a fianco dell’immenso Corrado per molti anni, in tante trasmissioni di successo quali: Il pranzo è servito, Ciao Gente e l’indimenticabile Corrida televisiva. Bando alle presentazioni, per “Fuori gli Autori”, signore e signori, ecco a voi Stefano Santucci.

Quando la Rai disse della Ghigliottina: “Non sembra in grado di rivitalizzare il preserale di Rai Uno”

Ho sempre avuto delle difficoltà a far capire in cosa consistesse il mio lavoro di autore. Parenti, amici, personale degli studi (a volte anche dirigenti e funzionari) pensano che sia un lavoro che chiunque potrebbe fare e tu sei lì in quel ruolo quasi per caso (tanto che nei contratti da autore da anni è stato tolto l’obbligo di contribuzione Enpals, l’Ente dei Lavoratori dello Spettacolo ora confluito nell’Inps, e la presenza in studio non è neppure contrattualmente prevista).

La mia personale situazione è migliorata con Tira e Molla, dove ero anche presente in video ed ero coinvolto da Bonolis per spiegazioni sulle domande e sul regolamento. Anche lì però capii che il mio lavoro non era del tutto chiaro quando la maestra dell’asilo di mio figlio mi chiese se poteva fare da me il rogito della casa che stava per acquistare: ero diventato notaio (anni e anni di “notaio conferma” avevano lasciato il segno) e quando dissi che non potevo stipulare perché non ero notaio ma ero uno degli autori della trasmissione, lessi nei suoi occhi sia la delusione per un mancato sconto sul suo rogito sia il declassamento immediato con cui mi stava percependo.

Le cose migliorarono notevolmente con la Ghigliottina:
“Cosa fai nella vita?”,
“Scrivo per la tv, faccio l’autore”
“Cioè?”
“Hai presente la Ghigliottina, il gioco finale dell’Eredità? Ecco, l’ho inventata io”
“Ah, ho capito. Mi piace, la seguo sempre!”

Questo “ho capito” è stata una grande conquista. Finalmente avevo trovato una chiave di leggibilità anche di un certo prestigio (mia madre/nonna/suocera ci gioca tutte le sere e non se ne perde una) mi apriva porte, mi procurava inviti a pranzo e presentazione a suocere e vicini come “quello famoso”. Ma non finiva lì, perché in quei consessi occasionali, professionali, familiari, conviviali era sempre in agguato la Grande Domanda: “ma come ti fanno a venire le idee? Ti metti lì e pensi?”. Già, come mi fanno a venire in mente le idee? Direi che se fai l’autore avere idee, possibilmente nuove, è una cosa importante. E come vengono le idee?

Potrei fare discorsi molto seri sull’importanza del metodo, su come ci si debba educare ad osservare sempre quello che succede intorno da diversi punti di vista e molte altre cose. E’ tutto vero, ma poi c’è un momento in cui tutte le cose ti si ordinano in testa nel modo giusto. A me questo momento spesso è capitato mentre dormivo! Già, mi addormentavo la sera pensando a tutti i termini delle questioni in ballo e alla direzione in cui mi sarebbe piaciuto risolverle e la mattina al risveglio, zac, ecco l’idea: l’intuizione di un meccanismo che poteva funzionare.

La Ghigliottina dell’Eredità, il Quando, Dove, Come e Perché di Reazione a Catena, il gioco finale di Avanti un Altro! sono nati in questo modo, ovviamente seguiti da un lavoro di verifica e messa a punto, ma la cosa più importante, l’idea, era lì. Altre volte, con grande frustrazione, mi svegliavo la mattina con la certezza di avere “sognato” un’idea meravigliosa ma, purtroppo, l’avevo dimenticata e passavo mattinate a cercare di ricordarla o, vigliaccamente, di riaddormentarmi sperando di risognarla. Niente da fare. La televisione aveva per sempre smarrito un’idea che, per mancanza di controprove, sarebbe stata sicuramente geniale e il mondo se ne sarebbe fatto facilmente una ragione.

Questa storia del sogno potrebbe dare un’idea romantica di questo mestiere: l’autore come “eroe” solitario che genera dal nulla le sue creazioni. Nulla di più sbagliato. Si ha sempre a che fare con centinaia di persone. Per prima cosa c’è l’Artista, il terminale ultimo dello spettacolo, colui che dovrà rendere reali i tuoi pensieri. Ed ogni Artista è diverso, ha le sue caratteristiche, il suo carattere, i suoi modi, la sua cultura. La maniera in cui mi piace fare l’autore è cercare di dare all’artista con il mio lavoro, uno strumento per poter essere al meglio, e possibilmente in maniera nuova, se stesso.

Non credo sia possibile e giusto imporre qualcosa a chi ci mette la faccia. Posso insistere, cercare di convincerlo se c’è qualcosa in cui credo particolarmente che non viene accolta, ma quello che accade in scena deve essere sempre una scelta, magari forzata, ma condivisa. Gli artisti sono a volte persone difficili –per avere il coraggio di andare in scena si deve avere un Ego molto sviluppato – ma la chiave di interazione è l’empatia, cercare di capirli, creare la struttura o il testo più adatto a valorizzare le loro qualità e minimizzare i loro difetti. Ma anche la sincerità, dire loro con schiettezza quello che si pensa, anche quando non si è d’accordo, sapendo che spesso (il quanto è proporzionale all’importanza dell’artista) saremo gli unici a farlo.

E poi ci sono i colleghi, con i quali ti confronti, con cui condividi il lavoro, con cui, se ti capita un lavoro in esterna, vivi per mesi tutti i giorni insieme dalla colazione alla cena (fino quasi a non poterne più di quelle amabilissime persone che sono), con i quali si fa continuamente un lavoro di “sparring partner”, confrontando spunti ed idee, con i quali ci si mette a nudo condividendo quanto di più intimo ci sia, le proprie idee, anche le più sceme di cui un po’ ci si vergogna, perché è da queste che spesso nascono le cose migliori. E poi ci sono gli Editori, i Produttori, i Redattori i Curatori, gli Ottimizzatori… decine e decine di persone che giustamente ti chiedono ogni momento una risposta per fare al meglio il loro lavoro.

Le idee sono importanti, fondamentali, ma devono essere vendute e difese. Direi che un autore ha il dovere verso se stesso ed il lavoro che fa di essere visionario, vedere quello che gli altri ancora non vedono. E di crederci. Conservo gelosamente il documento di marketing che analizzava delle modifiche all’Eredità tra le quali la già citata Ghigliottina che terminava con queste testuali parole: la nuova versione non sembra in grado di rivitalizzare il preserale di Rai Uno (con la parola “non” in grassetto, tanto per essere chiari). Era l’estate del 2005, mi sono preso il rischio di continuare a crederci e difenderla, sono stato supportato da quanti ci credevano, primo tra tutti Amadeus che all’epoca era il conduttore dell’Eredità, e nel settembre di quell’anno andò in onda ed ebbe subito successo. L’anno prossimo questo gioco compirà 10 anni.

Pensate che quando iniziai a lavorare nel lontano 1983, non sapevo nemmeno dell’esistenza di questo lavoro. Capitai al Pranzo è Servito come trovarobe, dove incontrai ed ebbi la fortuna di lavorare con il grande Corrado che un giorno mi disse: tu farai l’autore. Io gli dissi: cioè? e lui mi rispose: non ti preoccupare, te lo insegno io. Ho lavorato con Corrado dal 1983 al 1996 dal Pranzo alla Corrida, lo considero un maestro e un padre. In più di 10 anni di lavoro quotidiano e spesso di vita insieme, mi ha fatto capire cosa volesse dire fare, anzi, essere autore.

E’ un lavoro dove, nel suo aspetto migliore, si è pagati per dar vita ai propri sogni, e questo è bellissimo ed allo stesso tempo pericoloso perché può dare delle dannose “vertigini da autostima” dalle quali è fondamentale proteggersi. C’è un episodio che mi ha aiutato a capire il valore di quello che faccio ed il suo giusto posizionamento nell’economia del mondo e che uso spesso come mio personale antidoto.

Nella primavera del 2003, alla fine di un Ciao Darwin realizzato a Milano, faticosissimo ma di grande soddisfazione come qualità del lavoro e come ascolti, durante il brindisi di saluto, pochi minuti dopo il termine della registrazione dell’ultima puntata, già si sentivano le martellate degli operai che stavano smontando la scena che da lì a qualche ora non sarebbe più esistita. Ma come? Tutta la fatica fatta, le idee, le notti in bianco, la paura che qualcosa non funzioni e la soddisfazione perché poi aveva funzionato, già smantellati senza alcun riguardo?

Sì! Questa è la televisione (e forse non solo quella): fatichi, costruisci a volte ti esalti, ma tutto viene risucchiato dallo scorrere del tempo che consuma, inesorabile e indifferente, quello che è stato fatto. Ed ogni volta si deve ricominciare da capo.

Stefano Santucci