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Quel che resta del nazionalpopolare, da Zalone al fattore X Factor

Cos’è rimasto nazionalpopolare, oltre a qualche attore campione di incassi e i reduci dei talent? Se lo chiedono gli autori della collana Link Idee per la televisione

pubblicato 28 Maggio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 04:03

Anche in tempi di crisi vi è un “bisogno di consumi condivisi”. Per questo continuiamo a non toglierci un vizio, quello di guardare i programmi che guardano tutti. Pensiamo a un film impegnativo come La grande bellezza, diventato un grande evento anche in tv – grazie alla vittoria agli Oscar – con l’ascolto record di 9 milioni su Canale5 a marzo scorso.

Com queste premesse Fabio Guarnaccia apre Quel che resta del nazionalpopolare, il nuovo volume della collana Link Idee per la televisione (finanziata da Mediaset, che come sempre predica bene sui libri e razzola malissimo nei palinsesti), con un bilancio prezioso:

“di fronte all’oggettiva difficoltà a ottenere un successo di massa resiste solo il nazionalpopolare. Sforna meno prodotti di un tempo ma continua a sfornarne e, sorpresa, anche le sue formule si stanno rinnovando. In Italia sembra quasi impossibile ambire al successo popolare senza passare dal piccolo schermo”.

In particolare, il nuovo nazionalpopolare sono i prodotti dei talent:

“Nel 2013 gli album in top ten provenienti dai talent sono stati 13. Sanremo li ospita e li premia certificando la loro piena ricomposizione all’intero del corpo perennamente decadente ma mai sazio del nazionalpopolare. E’ in questo modo che il Paese si aggiorna e fa conoscenza con la contemporaneità. Lavoro difficilissimo, parlare a tutti, che riesce a pochi”.

Poi restano le sole vere icone del nazionalpopolare, al di sopra di tutti i mezzi e i contesti della comunicazione:

“Fiorello, Grillo, Zalone. Sono accomunati da un’ambiguità di fondo nei confronti del mezzo più popolare di tutti, come scrive Massimo Scaglioni. La tv li ha creati ma non la amano più. Non gli basta più ma non possono farne a meno. E anche quando non ci sono continuano imperterriti a rimanervi al centro”.

E poi c’è lo strano caso di X Factor, che Nico Morabito – sempre nel libro – definisce uno strano esempio di post-nazionalpopolare:

“E’ una macchina da guerra che non può rivolgersi a tutti ma pretende di farlo ugualmente, perché parla la lingua di tutti. Si ispira agli antenati ma a sua volta è fonte di ispirazione. Emblematico il détournement in chiave virtuale di una potentissima arma della prima repubblica, cioè l’applausometro, e la rincorsa degli altri, i soliti, che trapiantano la linfa vitale di questo o quel Vincitore del talent nei corpi in debito di ossigeno di Sanremo o dei contenitori domenicali”.

Infine, a sollevare un’altra riflessione utile è Luca Barra quando parla di un blocco generazionale dei protagonisti del nazionalpopolare:

“I fenomeni che totalizzano lo spazio immaginario restano gli stessi, immutati da decenni: da Celentano a Morandi, da Antonio Ricci a Fiorello, da Gerry Scotti alla De Filippi, da Roberto Benigni a Fabio Volo. Quali sono i personaggi ‘nuovi’, giovani o comunque inediti, che negli anni Zero sono assurti allo status di nazionalpopolare? Zalone, una manciata di cantanti usciti dai talent, forse qualche conduttore già Iena o veejay. Un po’ pochino”.

Al team di teorici della tv di Link, qui su TvBlog, facciamo solo un piccolo appunto. Come si può fare un bilancio sulle nuove frontiere del nazionalpopolare e snobbare proprio il fenomeno Mediaset dell’anno, ovvero Il Segreto? Peccato per la vistosa lacuna.