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Daniele Raco a Tvblog: “I comici italiani si auto-censurano spontaneamente. Luttazzi? Su di lui hanno infierito. Zelig? In tv non ci sono alternative”

Daniele Raco, comico di Zelig: “Su Luttazzi hanno infierito. E’ pieno di comici che copiano e non vengono mai scoperti”.

4 Luglio 2012 12:12

Daniele Raco, genovese, classe 1972, da anni uomo di Zelig non solo come comico sul palco degli Arcimboldi, ma anche come organizzatore dello Zelig Lab di Genova. E’ uno dei pochi comici ad aver tentato di portare sul piccolo schermo italiano la figura dello stand-up comedian all’americana: con lui proseguiamo (dopo aver intervistato Beppe Tosco) il nostro viaggio nella comicità televisiva.

Daniele, prima di tutto: com’è la situazione della comicità nella tv italiana in questo momento?

“Credo che l’unica cosa da salvare siano le tv dedicate, come Comedy Central, che mettono a disposizione l’opportunità di sperimentare e di creare nuovi format. Decisamente più difficile la situazione sulle reti generaliste. La Rai è meglio lasciarla perdere: ogni tanto ci prova a puntare sulla comicità, ma ci prova male, anche perché si affida a persone sbagliate, autori totalmente estranei a quel mondo. Su Mediaset le cose vanno un po’ meglio, anche grazie a due ammiraglie come Zelig e Colorado. Due realtà con target completamente diversi, che hanno costruito negli anni la propria fortuna”.

Tu sei un uomo della galassia Zelig, evidentemente.

“Sì, anche perché Zelig rappresenta in questo momento l’unica proposta comica concreta, non ci sono alternative. Sia chiaro: l’assenza di avversari è un merito di Zelig, nel senso che la trasmissione si è conquistata con pieno merito tutto il successo che ha avuto”.

Ma Zelig è in crisi?

“No, non lo è. Ti spiego il motivo: io mi diverto a fare Zelig, e come me tutti gli altri. Siamo un bel gruppo di colleghi che ride e che sta bene insieme, fa caz**te, è allegro”.

Però non si può negare il calo di ascolti che la trasmissione ha affrontato quest’anno.

“Ma guarda, io non ci credo molto in questo calo. Nel senso che in Italia ormai ci sono praticamente dodici milioni di persone che hanno Sky, il digitale terrestre offre centinaia di canali, i ragazzi si guardano i programmi su Internet. Insomma, a me i conti non tornano, nel senso che gli ascolti dicono che siamo calati, eppure la gente mi ferma in strada molto di più rispetto agli anni scorsi”.


Non credi che Zelig si sia snaturato rispetto agli inizi, prendendo la direzione del varietà?

“No, assolutamente, Zelig non è un varietà. Non è uno Studio Uno. Zelig rimane un programma che non può prescindere dai comici. È vero, c’è l’ospite musicale, ma vengono coinvolti i comici. C’è il balletto, ma vengono coinvolti i comici. Insomma, Zelig è sempre Zelig”.

Parliamo un po’ di te. Tu tenti la strada dello stand-up comedian, una forma decisamente poco usuale in Italia, perlomeno in tv.

“La scelta di diventare stand-up comedian è venuta spontaneamente. Sin da piccolo avevo dei comici italiani preferiti: poi, cercare i comici americani da cui gli italiani prendevano spunto è stato naturale. Insomma, mi piaceva Paolo Rossi, e quindi ho iniziato a scoprire Lenny Bruce. Poi, da lui, via via tutti gli altri. Il mio idolo era Bernie Mac, per il suo modo di stare sul palco, il suo sorriso beffardo, i suoi occhi sgranati. Mi piaceva anche Eddie Murphy, ma in generale mi colpiscono tutti i comici afro-americani, hanno un modo di porsi geniale”.

Parlando di comici americani, non posso non chiederti un’opinione sul caso Luttazzi.

“Secondo me nell’intera vicenda lui si è fatto un po’ prendere la mano, nel senso che a un certo punto avrebbe fatto meglio a dire: ‘E’ vero, ho preso spunto da quei comici’ invece di ostinarsi in una difesa a oltranza. Però Luttazzi ha avuto un grande merito, cioè quello di creare trasmissioni satiriche – e che trasmissioni – in un momento in cui fare satira era pericoloso. E infatti ne ha pagato le conseguenze. In ogni caso, credo che su Luttazzi si sia infierito sin troppo. Insomma, ci sono un sacco di comici che copiano (no, non ti dirò mai i nomi!), eppure su di loro non si è mai detto niente”.

Tu sei mai stato coinvolto in una vicenda simile?

“È capitato sia che copiassero me, sia che mi accusassero di aver copiato, e ti assicuro che è una brutta sensazione in entrambi i casi”.

Avevi copiato?

“No, semplicemente avevo scritto uno spettacolo liberamente tratto da uno show di Eddie Murphy, regolarmente depositato alla Siae come adattamento (in altre parole, una parte dei diritti finisce direttamente a Murphy). E infatti quando mi hanno accusato ho semplicemente detto: “Avete scoperto l’acqua calda”. Insomma, era tutto alla luce del sole e apertamente dichiarato, e chi mi ha accusato l’ha fatto intenzionalmente in mala fede”.

Tu scrivi i tuoi pezzi da solo o hai degli autori?

“I pezzi che propongo dal vivo, sul palco, li scrivo da me. A Zelig, invece, ci sono due autori, Carlo Turati e Teo Guadalupi, che mi aiutano ad adattare i miei testi alla tv: insomma, a trasformare un pezzo di quindici minuti in un pezzo di sei”.

Ti sei mai auto-censurato?

“Credo che la maggior parte dei comici italiani si auto-censuri. Insomma, ci sono cose su cui non si può scherzare. Per esempio le tragedie, devi far passare del tempo. Oggi forse potresti fare una battuta su Hiroshima, ma non ne sono sicuro: magari verresti criticato comunque”.

Però con la tragedia della Costa Concordia non è andata così.

“Sì, lì si è scherzato subito, ma il motivo stava nella follia di quel personaggio, di Schettino. Non si poteva non parlarne”.

Tu cosa diresti a un ragazzo che vuole intraprendere la carriera di comico?

“Ai ragazzi che frequentano lo Zelig Lab di Genova che gestisco dico sempre che quello del comico è un mestiere da fare per il pubblico dal vivo. Uno non deve pensare a un pezzo di tre minuti per la tv, ma avere un repertorio completo. Il valore di un comico non si misura da quanta televisione fa: è un approccio quantitativo sbagliato. Io stesso punto sulla qualità, in un anno faccio tre o quattro puntate a Zelig. Nel percorso di un comico, la televisione è accidentale. Ti deve dare la riconoscibilità, certo, ma poi tu devi saperti conquistare la fiducia e la fedeltà del pubblico dal vivo”.

In conclusione, cosa farai in futuro? Rimarrai a Zelig?

“Per ora sì, anche perché, come ti dicevo, è l’unica proposta concreta. È chiaro che se dovesse arrivarmi un’offerta seria, magari dalla Rai, per un progetto affidabile, non direi di no”.