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MasterChef – Ecco un vero talent show. Cattivo. Ritmato. Bello

Una critica positiva al nuovo talent show di Cielo, MasterChef. In cui o sai cucinare o sei fuori.

pubblicato 29 Settembre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 03:13


Masterchef - Il talent show di cucina

Dopo la seconda puntata di MasterChef (seguita per la seconda volta dalla nostra Debora) è il momento di dire qualcosa di più in merito. Capitano eventi rari, di questi tempi: due “Complimenti per la trasmissione” ravvicinatissimi, che non si ricordavano da qualche era geologica; generaliste che zoppicano; il sottoscritto che recensisce positivamente un programma di intrattenimento.

A parte le battute, MasterChef (in onda su Cielo) si merita, a giudizio del vostro scribacchino qui presente, tutti gli applausi dei complimenti per la trasmissione. Per tanti motivi. Per chi non lo sapesse, MasterChef è un format internazionale. Un talent show per aspiranti chef. Il vincitore, in Italia, si porta a casa 100mila euro e la possibilità di pubblicare il proprio libro di ricette. Roba che può davvero costruire una carriera. Ma dicevo che MasterChef ha dato un senso alla parola talent show in Italia.

Primo: perché è un adattamento che rispetta il format originale e non sbrodola. E’ appassionante, montato bene, a tratti con l’estetica del duello western Fila che è un piacere. Ha ritmo. Si fa guardare tutto d’un fiato.
Secondo: perché è stato fatto un ottimo lavoro di casting. In giro per blog da addetti ai lavori i tre “giudici” (Joe Bastianich, Carlo Cracco e Bruno Barbieri) sono già stati ribattezzati Il buono, il brutto e il cattivo. Sta a voi stabilire chi sia chi. Fatto sta che i giudici funzionano. Non si può dire di no. Sono esperti, hanno modi di fare funzionali allo show e anche al talent. Piacciono sia al pubblico dei talent sia a quello, esigentissimo, degli appassionati di cucina (ok, qualcuno storce un po’ il naso, ma ci sta).
Terzo: perché è un vero talent show. Forse l’unico vero talent show che io abbia mai visto fra quelli proposti in Italia. Ora qui qualcuno si risentirà, probabilmente. Spiego: il giudizio è affidato esclusivamente alla capacità del “talento” di turno. Alla sua abilità con il tema del talent: la cucina. Non sai tagliar le cipolle? Sei fuori. Ti giustifichi anche se hai sbagliato? Sei fuori. Non hai salato il piatto? Sei fuori. Non c’è televoto che tenga, non ci sono lacrime che tengano, non c’è nessuno da commuovere per provare a farcela lo stesso anche se i giudici non sono soddisfatti.

L’emblema di come dovrebbe funzionare il talent, comunque lo si concepisca, è una scena andata in onda ieri. Restano due concorrenti a tagliar cipolle. Li stoppano dopo 90 minuti (provateci, a tagliar cipolle velocemente per 90 minuti, poi ne riparliamo). XXX si avvicina a uno dei due. Gli rimprovera il taglio irregolare.
Lui risponde: “Può capitare”.
E il giudice: “Può capitare? Noi cerchiamo l’eccellenza”. Fuori.

MasterChef è cattivo. E così dev’essere.

E ci sono anche le lacrime, sì, perché i giudizi sferzanti dei giudici fanno male, colpiscono nel profondo e senza possibilità d’appello.

Qualcuno (anche fra i nostri commentatori) dice che esagerano un po’. Qualcuno dice che chi si credono di essere, questi giudici.
Il che dimostra che siamo proprio abituati, assuefatti fino al midollo alla possibilità di riscatto sempre e comunque, all’italiano brava gente che non merita l’eliminazione. Che subisce ingiustizie. Che, se piange, si può riscattare perché poi il pubblico a casa lo aiuta. Tanto buonismo e poca meritocrazia, insomma, con la scusa degli “italiani che decidono da casa”, che amano, che odiano, che bocciano. Salvo ammettere che il televoto non è controllabile.

In MasterChef non c’è l’appello finale né il buonismo: si eliminano i concorrenti, uno dopo l’altro, perché è così che dev’essere fatto. Ci sono alcuni casi umani, ma se non sanno cucinare si devono togliere il grembiule. Non c’è la diretta perché non serve – e sarebbe anche stucchevole -; non c’è il televoto perché il pubblico a casa non può e non deve giudicare ma deve gustarsi lo show. E chi dovesse pensare che sia tutto merito del format originale, be’, dovrebbe anche ricordarsi quali scempi siano stati fatti, in Italia, con format originali acquisiti e riadattati.

Quant’è sana, la cattiveria (originale e adattata) di MasterChef. Complimenti per la trasmissione.