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Suburra – La serie, recensione in anteprima Blogo della prima produzione italiana Netflix

La recensione in anteprima Blogo di Suburra-La serie, la prima serie italiana di Netflix, prequel dell’omonimo film, ambientata in una Roma divisa tra Chiesa, Stato e criminalità

pubblicato 4 Ottobre 2017 aggiornato 3 Novembre 2020 15:50

A due anni dall’annuncio, debutta finalmente su Netflix, venerdì 6 ottobre, Suburra-La serie. Un debutto particolarmente sentito in Italia, dal momento che si tratta della prima produzione italiana realizzata dalla piattaforma di streaming on demand, che cerca così -come ha già fatto in altri Paesi- di espandere il proprio catalogo originale attingendo dalle forze locali.

In questo caso, trattasi dell’omonimo libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, diventato nel 2015 un film, con lo stesso titolo e la regia di Stefano Sollima. La serie, però, fa un passo indietro rispetto al racconto letterario e cinematografico, diventandone di fatto un prequel.

L’ambientazione è sempre la Roma corrotta, in cui Chiesa, Stato e criminalità sono coinvolte in un unico intreccio che vede i protagonisti sfidarsi per la conquista della Capitale. Nei dieci episodi della prima stagione, così, incontreremo alcuni personaggi già visti nel film, come Numero 8, alias Aureliano Adami (Alessandro Borghi) e Spadino (Giacomo Ferrara), fratello di Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), boss di un clan zingaro.

Proprio Aureliano e Spadino si ritrovano, per una serie di circostanze, a stringere un’insolita alleanza con Lele (Eduardo Valdarnini), giovane laureando e figlio di un poliziotto a cui, però, la vita nelle Forze dell’ordine che il padre ha pensato per lui va stretta.

Lele si diletta così a fare da spacciatore per le feste degli amici, ed ad aiutare anche Sara Monaschi (Claudia Gerini), che lavora nella Commissione Vaticana e che, all’occorrenza, organizza festini a base di sesso e droga per uno dei monsignori. Sarà questa la scintilla che farà scatenare una bomba di eventi, tra ricatti, strade pericolose da percorrere, omicidi e, soprattutto, tanta voglia di conquistare Roma e diventarne i padroni. Una serie di eventi che andranno ad intrecciarsi anche con la vita del consigliere comunale Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), uomo tutto d’un pezzo, dai solidi valori morali, che però inizieranno a traballare dopo l’incontro con Samurai, il boss già visto nel film e qui interpretato da Francesco Acquaroli (nella pellicola da Claudio Amendola).

Va subito fatta una premessa fondamentale: Suburra non è Gomorra. Appena presentata la serie, due anni fa, il sospetto era che Netflix cercasse una storia che potesse affiancarsi proprio a Gomorra per profondità dei personaggi, violenze e, soprattutto, per lo sguardo dark ad una realtà italiana che la fiction ha sempre trattato senza sporcarsi davvero le mani.

I tre registi della serie, Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, dipingono sì una Roma sull’orlo del precipizio, dove tutti i personaggi sembrano destinati a dover fare i conti con un lato oscuro, ma evitano di rappresentare una città totalmente nelle mani del Male.

Il lavoro che viene fatto su Suburra è evidentemente differente: qui si vuole andare alla scoperta di chi fossero Numero 8 e Spadino prima dell’Apocalisse raccontata nel film. Nel farlo, gli sceneggiatori hanno messo in scena, prima ancora della corsa alla conquista dei terreni di Ostia che sono centrali durante l’intera prima stagione, uno scontro generazionale tra le nuove leve, appunto, che vogliono trovare un proprio posto nel mondo, e gli attuali padroni del mercato criminale romano. Che siano padri, sorelle o fratelli, i tre giovani protagonisti agiscono principalmente mossi da quel desiderio di dimostrare a tutti che sanno farsi valere. Come a dire, anche nella criminalità organizzata i più piccoli devono faticare per farsi notare.

Da questo punto di vista, allora, Suburra-La serie mostra un lato interessante, veramente inedito (e considerato che la serie, co-prodotta da Cattleya con Rai Fiction, andrà in onda prossimamente su Raidue, sarà curioso vedere come il pubblico generalista reagirà), che però non si può considerare totalmente riuscito.

Di fronte ad una regia curatissima che riesce a catturare le bellezze di Roma anche nei suoi angoli più bui, ad una fotografia e luce impeccabile ed ad un cast che, tra alti e bassi, fa il suo lavoro (ma a spuntarla su tutti è Borghi), a Suburra sembra mancare un cuore. Manca un personaggio cult, una scena che faccia discutere a fine episodio, una frase che resti in testa al pubblico. Manca, insomma, quel qualcosa che possa farla elevare a vero e proprio evento mediatico.

Netflix si comporta come si è già comportato con altre serie tv extra-americane, come Marseille: ci mette l’impegno, chiama registi e sceneggiatori che conoscano bene la materia, dà assoluta libertà narrativa. Ma sembra mancare quella vicinanza e quella mission che, invece, tiene sempre a mente di fronte a produzioni originali made in Usa e capaci di diventare fenomeni ovunque.

Resta, comunque, l’opportunità offerta all’Italia di mettersi in mostra con una storia che ha tutte le carte in regola per poter andare avanti per qualche altra stagione e per farsi conoscere ad un pubblico internazionale passando da una piattaforma che il pubblico italiano ormai ha imparato a conoscere. La conquista di Netflix da parte del nostro Paese non passerà per Suburra-La serie, ma servirà, proprio come a Numero 8, Spadino e Lele, per farsi i muscoli.

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