Home Enrico Mentana Enrico Mentana e la genesi del Tg5: “Il nostro tg diverso, eclettico e senza marchette”

Enrico Mentana e la genesi del Tg5: “Il nostro tg diverso, eclettico e senza marchette”

Il Tg5 ha compiuto 25 anni e il suo primo direttore, nonché co-fondatore, ricorda le origini del primo Tg privato italiano.

pubblicato 14 Gennaio 2017 aggiornato 1 Settembre 2020 14:44

Enrico Mentana ricorda come è nato il Tg5, che celebra i suoi primi 25 anni con uno speciale in onda su Canale 5. Il titolo che abbiamo scelto prova ad essere un’estrema sintesi di alcuni dei punti, a nostro avviso, più interessanti del lungo post pubblicato su Facebook dal direttore alla vigilia dello speciale che lo vede, di nuovo, negli studi della sua ‘creatura’, che fece nascere con un ‘manipolo di temerari’ quando aveva solo 36 anni. Una missione per molti impossibile caldeggiata dall’allora presidente della Fininvest Silvio Berlusconi, che spinse la ‘squadra’ a schierarsi frontalmente contro il Tg1 e il Tg2, lanciando le edizioni delle 13.00 e delle 20.oo. “Per me era una follia, ma alla fine cedetti. E aveva ragione lui“, riconosce Mentana in questa lunga memoria, nella quale ripercorre le fasi salienti non solo della nascita del Tg, ma soprattutto ne ribadisce la linea editoriale, quella che segnò una rivoluzione nel linguaggio giornalistico televisivo dell’epoca. Era il gennaio 1992: un mese dopo, l’arresto di Mario Chiesa avrebbe segnato l’avvio di Mani Pulite.

“Avevo il compito di creare dal nulla un nuovo tg, il sogno di qualsiasi giornalista. Avevo il compito di idearlo, di trovargli il nome, di scegliere il logo, la grafica, la sigla. Ma anche di cercare le persone adatte a farlo con me, senza vincoli, senza imposizioni”

ricorda Mentana in apertura del suo ‘intervento’. Una lettura davvero interessante, al di là degli aneddoti, proprio per la precisa ricostruzione degli obiettivi editoriali di quel progetto giornalistico: mettere da parte la politica lottizzata dell’informazione Rai e puntare sulla “Cenerentola dell’informazione“, “recuperando la grande tradizione della cronaca italiana, nata soprattutto sui giornali di provincia“; realizzare una scaletta senza marchette (“soprattutto per i marchi vicini alla nostra proprietà“); costruire una squadra di giornalisti inattaccabili ed eclettici, senza inviati di ruolo, “perché consideravo le specializzazioni un male da evitare a tutti i costi. Uno spreco delle professionalità e un lusso che non potevamo permetterci, oltre che un cattivo esempio”.  Mentana chiarisce molto bene il punto:

“Avete presente? Giornalisti di cinema, che parlano solo di film, e vivono nel triangolo Oscar-Cannes-Venezia, ossessionati dal rischio di saltare una prima. Redattori di calcio, che per tutta la settimana discutono solo di partite e allenatori. Cronisti politici, che piombano nel lutto se non hanno l’accredito a Montecitorio. Giornaliste di moda, coccolate di regali, viaggi premio, cene e feste. Tutti questi, e altri come loro, vivono perennemente impaniati in una rete di addetti stampa. Ne dovevamo e ne potevamo fare a meno”.

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Bene. Questi sono solo alcuni dei punti (un vero e proprio vademecum dell’etica giornalistica) che Mentana ha toccato nella ricostruzione, pubblicata sulla sua Pagina Facebook, della genesi del Tg di Canale 5.

“Si sarebbe chiamato semplicemente tg5, in sfida diretta con i concorrenti della Rai, e avrebbe mirato proprio ai difetti dei telegiornali che fino a quel momento monopolizzavano il mercato dell’informazione tv. A cominciare dalla politica. L’arroccamento dei partiti s’era fatto ancora più evidente. Meno riuscivano a perforare l’aperto disincanto dell’opinione pubblica e più intasavano i notiziari della Rai con i loro leader, le loro riunioni, i loro slogan. Bene, il tg5 avrebbe ridotto la pagina politica al minimo, in modo da mostrare nei fatti e da subito l’assenza di sudditanze e di faziosità, e liberare intanto spazio e tempo per il resto dell’attualità. La prova finestra tra noi e gli altri, tutti ingolfati di politica, avrebbe mostrato la differenza. Ma era una piccola rivoluzione, per cui serviva identificare chiaramente le scelte da fare. […] Il nuovo tg sarebbe stato diverso, avrebbe recuperato una gerarchia espressiva. Il fatto più importante, l’apertura doveva poter provenire da qualsiasi versante dell’attualità. E la politica? Meritava un servizio, e non più di uno, a parte naturalmente le occasioni eccezionali. Ci sarebbero stati giorni senza nemmeno un servizio di politica, e magari al momento il pubblico non se ne sarebbe neppure accorto, ma alla lunga si sarebbe affezionato a noi, gli unici a non somministrargli la politica come una medicina serale. Gli unici a trattarla come un settore tra i tanti. Anche per dar spazio alla grande assente, o quasi: la cronaca.”

Fu quella una delle principali innovazioni del neonato Tg, in un contesto in cui il tradizionale pastone politico veniva usato per dare “il “la” a tutte le altre notizie. Una sorta di chiodo a cui appendere il notiziario. L’arma totale del collegamento, la risorsa delle grandi occasioni, usata per raccontare il nulla di una bolla politica“, come scrive ancora Mentana. E ancora la scelta della redazione (“Sono milanese, ma sapevo bene due cose: che a Roma c’era molta più possibilità di intercettare notizie e ospiti“), qualche accenno al rapporto con Silvio Berlusconi (“potendo scegliere era sempre meglio stare lontano dal quartier generale dell’editore. Ma in questo caso l’editore non era solo una presenza ingombrante. Voleva essere informato dei lavori in corso, e dare qualche consiglio. Molti sballati, uno almeno vincente“) e  gli orari delle edizioni, il consiglio ‘vincente’ dell’editore.

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Il tutto condito da una squadra di giovani, che non fu poi così facile mettere insieme:

“Scegliere i giornalisti, mettere insieme la squadra, fu la cosa più difficile e importante. Un’embrione di redazione esisteva già: c’era Emilio Carelli, che avrebbe fatto da vice direttore, c’erano Cesara Buonamici e Cristina Parodi, c’erano alcuni altri validi giornalisti che erano lì fin dai tempi di Arrigo Levi e Paolo Garimberti, pionieri dei programmi informativi del Biscione. Ma ci voleva molto altro. Portai con me colui che sarebbe stato l’altro vice, Clemente Mimun, e quello che invece sarebbe stato insieme a me il conduttore dell’edizione principale, Lamberto Sposini. Poco più tardi ci avrebbe raggiunto un formidabile uomo di macchina, Massimo Corcione. Tutti loro, e molti altri, destinati a una bella carriera. A trentasei anni, sarei stato davvero un direttore molto giovane. Scelsi quindi parecchi giovanissimi, i più curiosi e preparati che trovai. Dovevano avere la spinta dell’entusiasmo e la capacità di adattamento che esigeva la fase di lancio del giornale. Dovevano essere disponibili a imparare ruoli e mansioni diverse, a fare collegamenti e lavoro di cucina redazionale, a stare in studio e in regia. Volevo creare professionalità eclettiche, perché saremmo stati in pochi e avremmo dovuto tutti recitare più parti. Cominciavamo la nostra avventura in cinquanta giornalisti appena, tra Roma, Milano e il resto d’Italia. Eravamo Davide contro Golia”.

Il direttore ricorda anche il ‘training’ per acquisire quello stile che è sempre stato caratteristico dei Tg di Mentana, ovvero il “metterci la faccia, e la voce“, per non “far disperdere l’energia della notizia nel passaggio diretto tra la sua fonte e il telespettatore“. Il che significava anche niente gobbo, niente lettura, spazio alla personalizzazione (“Meglio impappinarsi, conoscere qualche momento di incertezza, che raggelare notizie e pubblico con una freddezza da speaker“).

Ma era la libertà la vera missione di quel Tg:

“Nessun argomento da evitare, nessun tema o personaggio capace di metterci in imbarazzo. Il tg5 poteva parlare di tutto. Non esistevano verità ufficiali e indiscutibili. Un tg rispettoso dei suoi telespettatori doveva essere inattaccabile, al di sopra per esempio di ogni sospetto di “marchette”, insomma quei servizi o interviste che servono a lanciare un prodotto, particolarmente nei settori dell’auto e della moda, o le presentazioni di impianti o manifestazioni di aziende. Niente di niente, soprattutto per i marchi vicini alla nostra proprietà. E i nostri giornalisti non utilizzavano per i viaggi di servizio nessun passaggio aereo, nessun viaggio gratis in occasioni di grandi avvenimenti, nessuna facilitazione dagli sponsor. Un codice etico non scritto ma rigidissimo, che funzionò per tutti i tredici anni della mia direzione”.

Gli esordi non furono facili, così come quella prima edizione delle 20.00 (qui i minuti iniziali) segnata da una serie di incidenti tecnici che lo stesso direttore stigmatizzò in diretta con un ironico “davvero una simpatica situazione“, inaugurando uno stile che non avrebbe mai più abbandonato. E fa tenerezza anche raccontare il dietro le quinte di una serata così emozionante per tutti da ‘impallare’ la regia e i collaboratori.

E poi il Tg5 prese il largo. In chiusura un omaggio al principale competitor, dell’epoca e non solo.

“Mentre i disguidi si scioglievano, e il giornale cominciava a ingranare, mi immaginai le risate del direttore del Tg1, che sicuramente stava sbirciando i nuovi concorrenti. Rise di certo molto meno la mattina dopo, quando scoprì che per la prima volta nella piccola storia della tv italiana un altro tg aveva avuto più spettatori del suo. A proposito, quel direttore era Bruno Vespa”.

Al fin della licenza, io non perdono e tocco. 

E sul web abbiamo recuperato questo video dell’allora direttore del Tg1 che celebrava l’arrivo del competitor.


1992 Promo (Canale 5) TG5 – Telegiornale di tvscelta

Vi lasciamo al testo integrale di Enrico Mentana. Buona lettura.

 

 

Enrico Mentana