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Generation Gap, un lungo e originale rvm che dice tutto in una puntata

Generation Gap è l’esperimento sociale di Rai4 con personaggi comuni forti. Ma manca un narratore sagace

pubblicato 12 Settembre 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 20:20

Generation Gap è il primo segno di come si può autoprodurre su Rai4: con idee fattibili a bassissimo costo . Così darsi all’anti-talk diventa un passo obbligato per poter realizzare una trasmissione quotidiana, partita oggi alle 15.25.

Noi stessi, inizialmente, avevamo “toppato” interpretando l’annuncio casting di Rai4 come quello di un talk generazionale in studio. A Generation Gap i nip ci sono, ma li vediamo alle prese con un esperimento sociale, basato su oggetti cult che hanno caratterizzato le diverse epoche e che sono tirati fuori dal loro contesto. Il tutto in scenografie minimal movimentate da qualche effetto speciale.

Così è sicuramente sorprendente vedere un bambino meravigliarsi dinanzi a un videoregistratore, o una ruspante vecchina perplessa mentre le danno da mangiare del tofu. Tutto questo, insomma, sarebbe originale e divertente se fosse una rubrica all’interno di un programma come I migliori anni o di un salotto pomeridiano.

Invece qui è l’rvm che diventa programma, finendo già alla prima puntata per risultare ripetitivo. Alla fine, infatti, il luogo comune sull’anziano che non sarà mai vegano e sul nativo digitale dice già tutto al primo incontro. Per non parlare del rapper che si prende gioco della nonnina Rosina, un personaggio già cult che poteva essere meglio valorizzato.

Se ci fosse stato un espediente narrativo – un osservatore sagace à la Mammucari, chiamato dietro a una camera oscura a ironizzare sullo scontro generazionale – forse sarebbe stato più divertente anche per il pubblico (che, stando al target, dovrebbe essere ggiovane). Invece sentiamo solo una voce anonima che fa domande telefonate, a cui seguono risposte telefonate. Come la costruzione di un format ben più promettente negli intenti che negli esiti.