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Io sono Libero, la docufiction su Raiuno ottima sostituta dei film-tv

Io sono Libero informa il pubblico con una docufiction che non ha bisogno di grandi spese per raccontare una storia realmente accaduta, riuscendo ad essere fluida e veloce ed a ricordare un episodio della Storia del nostro Paese

pubblicato 29 Agosto 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 20:59

Io sono Libero è uno di quegli esperimenti che si devono pretendere dalla Rai: una docufiction che unisce momenti di pura finzione ad altri di repertorio per raccontare la storia di Libero Grassi, ucciso dalla mafia per essersi ribellato al pagamento del pizzo. Si poteva fare un film-tv, scegliere attori importanti per interpretare i protagonisti, puntare ad un budget rivelante ed ad una sceneggiatura che raccontasse la gioventù del protagonista fino ai giorni in cui decise di dire di no alla mafia.

Si poteva seguire la via più facile, quella della fiction-santino, e puntare tutto sull’emotività che storie come questa suscitano. Invece, si è scelto di osare, finalmente, e di puntare su un formato decisamente insolito per Raiuno che, nel giro di pochi mesi riporta il tema della lotta alla mafia in prima serata, dopo lo speciale di Cose Nostre.

Unire la fiction alle interviste ed alle immagini di repertorio è un’idea non nuova, ma potentissima per una rete che ha fatto delle fiction puramente recitate e scritte (non sempre bene) il suo marchio distintivo anche quando vuole raccontare l’Italia tramite i personaggi realmente esistiti. Sta in quest’idea la novità di Io sono Libero, che nel corso della sua messa in onda accantona sempre di più la finzione del racconto per favorire la documentazione e le interviste.

Non si crea confusione, non c’è la pretesa di dover spiegare tutto: il racconto passa scorrevole con gli inserti documentaristici, che arricchiscono l’esperienza del telespettatore, che diventa qualcuno da informare, sfruttando tutte le risorse possibili. Non saranno numeri da record, quelli fatti da Io sono Libero, ma non è quello che conta: ciò che conta, piuttosto, è l’aver provato ad intraprendere un nuovo modo di fare televisione ed allo stesso tempo di non cadere nella trappola dell’emotività a tutti i costi. D’altra parte, con una storia come quella di Libero Grassi, sono inutili gli artifici narrativi.

Sarà stato un caso a parte, ma una docufiction su Raiuno fa sperare che possano esserci altre produzioni simili, che rinuncino alla spettacolarizzazione e favoriscano la realtà dei fatti forti e potenti, capaci di riavvicinare il pubblico a storie che non hanno bisogno di trucchi per svegliare gli animi.