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Stranger Things, gli anni Ottanta sanno ancora stupire

Stranger Things racconta una storia usando il contesto degli anni Ottanta e delle citazioni senza cadere nella ripetitività ma riuscendo a stupire ed a trovare l’innocenza di quegli anni

pubblicato 26 Luglio 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 22:03

In un’estate che sembra regalare poche novità seriali davvero interessanti, ha fatto il suo ingresso da circa due settimane Stranger Things, serie tv di Netflix che la critica ha subito iniziato a lodare, al punto da farle meritare la medaglia di titolo imperdibile di questi mesi. Il motivo è molto semplice: la serie tv dei fratelli Duffer è un omaggio lungo otto puntate alla cinematografia di fantascienza degli anni Ottanta, senza però imitarla o suscitando nello spettatore un effetto nostalgia che a lungo andare sarebbe potuto essere irritante.

La vicenda si svolge nel 1983, ad Hawkins, cittadina tranquilla dell’Indiana, dove, una sera di novembre, il giovane Will Byers (Noah Schnapp) sparisce misteriosamente dopo aver passato la serata a giocare a Dungeon & Dragons con i suoi amici di sempre: Mike Wheeler (Finn Wolfhard), Dustin Henderson (Gaten Matarazzo) e Lucas Sinclair (Caleb McLaughlin).

Alla notizia della scomparsa dell’amico, i tre amici si mettono sulle sue tracce, incontrando però una misteriosa ragazzina, che si fa chiamare “Undici” (Millie Bobby Brown) dal numero che ha tatuato sul braccio. Schiva e poco loquace, Undici sembra però avere dei poteri telecinetici tramite i quali riesce a spostare gli oggetti che la circondano. La ragazza lega soprattutto con Mike, che la ospita, all’oscuro dei genitori, nel seminterrato di casa sua: Undici, infatti, sembra essere in fuga, anche se non vuole dire da chi o da che cosa.

Parallelamente alla ricerca di Will, lo show dipana altre storyline: quella di Nancy (Natalia Dyer), sorella maggiore di Mike che sta frequentando Steve Harrington (Joe Keery), uno dei ragazzi più popolari del suo liceo; ma anche -e soprattutto- quella di Joyce (Winona Ryder), madre di Will che, noncurante di ciò che potrebbe pensare la gente, indaga sulla scomparsa del figlio seguendo la pista secondo cui quest’ultimo comunichi con lei tramite la corrente elettrica di casa sua, suscitando lo scetticismo sia da parte del figlio maggiore Jonathan (Charlie Heaton) che dello sceriffo Jim Hopper (David Harbour). Eppure, qualcosa di vero c’è, dal momento che ad Hawkins si trova un misterioso laboratorio segreto, i cui esperimenti potrebbero avere a che fare sia con Undici che con Will, ma anche con una creatura che sta iniziando a seminare il panico in città.

Come detto, Stranger Things è un omaggio agli anni Ottanta che passa per i riferimenti cinematografici impliciti lungo gli otto episodi del telefilm: analizzando la trama e le tematiche della serie tv, troviamo facilmente citazioni di “The Goonies”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “E.T.” e tanti altri film. L’ispirazione è chiaramente spielbergiana, ma sarebbe un errore pensare che Stranger Things voglia solo scopiazzare i successi del regista in quegli anni o rendergli onore con una storia dal sapore retrò. Matt e e Ross Duffer hanno pensato ad un racconto che, in linea di massima, starebbe bene anche in un contesto attuale. Quello che si perderebbe, però, sarebbe l’innocenza e la determinazione dei cinque ragazzini protagonisti, vero motore di una storia che commuove, spaventa e stupisce. Se Mike ed i suoi amici avessero vissuto quest’avventura ai giorni nostri, probabilmente, avrebbero risolto il mistero a colpi di messaggini sullo smartphone e ricerche su internet.

Il punto di forza di Stranger Things è proprio lo spirito di avventura che si respira lungo tutti ed otto gli episodi. Un formato abbastanza breve, voluto dai due autori e registi affinchè il pubblico potesse vedere la serie tv nel giro di pochi giorni ed avere una esperienza più vicina al film che allo show televisivo. Il citazionismo diventa così esso stesso protagonista inconsapevole del telefilm, che permette di dare alla sceneggiatura il tono necessario per poter calare il pubblico nella mente esplorativa dei ragazzini al centro della storia. Una storia scritta con la mente di oggi, e quindi riservando colpi di scena, sottotrame ed effetti speciali, ma pensando con l’animo dei ragazzini che, in quel decennio, hanno sognato più volte di vivere un’avventura simile a quella dei loro coetanei al cinema. Inteso in questo modo, l’intento citazionista assume un valore tutto differente rispetto agli altri show -e sono tanti- ambientati negli anni Ottanta. Ed a dirlo è anche Stephen King, che si è sentito un po’ tirato in causa:

“Guardare STRANGER THINGS è come guardare il Greatest Hits di Steve King. Lo dico in senso buono”.

“STRANGER THINGS è puro divertimento. A+. Non perdetelo. Winona Ryder brilla”.

Uno di quei rari casi in cui si pensa di aver visto qualcosa di simile, ma invece che esserne seccati si viaggia nella fantasia e nell’innocenza della prima visione.

Stranger Things