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Produzioni tv, l’Italia cerca la quadratura tra broadcaster e investimenti

La ricerca “Il Valore della produzione. L’intrattenimento come risorsa economica e culturale” fa il punto sulla situazione della produzione tv italiana.

pubblicato 21 Giugno 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 23:26

Nel cuore degli upfronts italiani, con Discovery già scesa in pista per annunciare format e prodotti della prossima stagione tv e Rai e Mediaset attese al varco della presentazione dei palinsesti Autunno 2016 in programma nelle prossime settimane, sono stati presentati i dati della ricerca “Il Valore della produzione. L’intrattenimento come risorsa economica e culturale” commissionata dalla Apt – Associazione Produttori Televisivi e condotta dall’Università Cattolica di Milano.

A darne conto un bell’articolo di Andrea Biondi per Il Sole 24 Ore nel quale si delinea lo stato dell’arte delle produzioni indipendenti nazionali nel panorama dell’industria tv italiana.

“In Italia il business delle società di produzione per la parte di intrattenimento è stimato nel 2015 a quota 300 milioni di euro, il 3,9% sui ricavi dell’intero comparto tv; in Uk il business è 5 volte tanto (1,5 miliardi) con un’incidenza dell’8,8% sui ricavi totali”

si legge sul Sole, il che dà subito un indice per la valutazione della situazione in Italia, per quanto la moltiplicazione dell’offerta tv e la discesa in campo di multinazionali sempre più intenzionate a investire in prodotti indipendenti (cfr. Discovery) possa rappresentare una svolta nel volume di ore prodotte e commercializzate.

Al momento, il settore produce “290 titoli nell’ultimo anno, di cui solo il 5% in termini di format originali italiani” a fronte di una Gran Bretagna “leader nell’esportazione di format di intrattenimento, con 122 adattamenti solo nel 2015”. Certo, non sono mancate le esportazioni dall’Italia: penso a Unti e Bisunti o a Il Boss delle Cerimonie, per quanto sempre inseriti in un circuito internazionale che fa capo al gruppo Discovery. Ma dal punto di vista dei produttori, i principali ostacoli da superare riguardano la gestione dei diritti tra produzione e broadcasting, figure centrali dell’industria tv tra cui, storicamente, i rapporti non sono mai stati particolarmente facili, a causa anche di una regolamentazione non sempre ‘esaustiva’ tra le parti.

Se il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli si è detto disponibile a valutare “l’istituzione di un tax credit per l’intrattenimento da esportazione nel Ddl sull’audiovisivo”, i produttori guardano con interesse a una soluzione sulla questione ‘gestione dei diritti’, come sottolineato anche da Paolo Bassetti (Endemol Shine Italy). Sul fronte broadcaster, invece, si guarda soprattutto al ruolo della Rai, che non spicca sul piano degli investimenti in format originali.

“In Rai stiamo studiando, dal 2017, l’istituzione di slot dedicati per le produzioni indipendenti”,

ha detto Ilaria Dallatana, neo direttore di Rai2, come riporta puntualmente Biondi. Ne vedremo forse gli effetti nei palinsesti Autunno 2017. Per ora ci aspettiamo il solito giro di ‘repliche’, con i pochi esperimenti relegati in fasce diverse dal prime time o nella prima serata estiva.

Certo è che il formato breve dell’intrattenimento ‘contemporaneo’, pezzato sul mercato anglosassone poco si attaglia alle durate monstre del prime time italiano, sempre più settato sulla fusione di prima e seconda serata e poco avvezzo a proporre titoli diversi nello stesso slot. Ci prova Rai 2 con le serie USA e si tenta con le docu-fiction o l’emotaintment in certi periodi dell’anno. Per il resto all’intrattenimento la Rai, soprattutto l’ammiraglia, predilige la fiction domestica: ed è comunque un indotto importante per l’industria audiovisiva italiana. Ma si guarda anche all’altro grande polo tv, Mediaset, reduce da una (altra) stagione fictional non propriamente brillante e qualche prodotto nuovo testato nel day e prime time delle generaliste e delle tematiche: al Biscione, rappresentato dalle parole di Gina Neri, “piacerebbe che fra broadcaster e produttori si lavorasse a un patto di partecipazione agli investimenti”, insomma una co-produzione chiara e equamente responsabile in caso di successo e di insuccesso, a quel che mi sembra di capire.

Certo è che le piccole case di produzione indipendenti, sostenute soprattutto dal ‘terzo polo’ tv, quello ormai costituito da Discovery, stanno proponendo titoli e personaggi interessanti. Sono i grandi ‘poli’ dai piedi d’argilla che dovrebbero probabilmente svecchiare slot e contenuti. Una storia che, negli anni scorsi, ha riguardato con identiche preoccupazioni il settore della produzione fictional, che ha poi visto aprirsi il mercato della serialità di qualità con Sky (da Quo Vadis? a Romanzo Criminale, passando per Gomorra ma anche per perle come Boris) e visto la Rai tentare nuove formule, più leggere per modalità di racconto e formati (da Tutti Pazzi per Amore a Una Mamma imperfetta, passando per E’ Arrivata la Felicità, Non dirlo al mio capo, allontanandosi sempre più dai biopic e orientandosi verso una comedy brillante).

Sull’intrattenimento, però, la sfida sembra più ardua. Magari tornare a delle fasce più umane potrebbe aiutare.

Rai 1