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Lux Vide, Luca e Matilde Bernabei a Blogo: “Puntiamo sulla qualità professionale e tecnica delle persone. Don Matteo? Ogni stagione è innovativa, affronta temi seri”

Blogo ha intervistato Luca e Matilde Bernabei, amministratore delegato e presidente di Lux Vide, per parlare del loro lavoro di produttori, della loro intenzione di portare in tv prodotti di qualità e delle critiche che spesso sono rivolte a Don Matteo

pubblicato 11 Giugno 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 23:55

Lux Vide è tra le case di produzioni italiane più famose. Fondata da Ettore Bernabei nel 1992, si è subito distinta per le sue fiction dedicate alla Bibbia, co-produzioni internazionali vendute all’estero e molto seguite in tv. Nel corso degli anni, l’azienda è passata nelle mani dei figli di Bernabei, Matilde, oggi, presidente, e Luca, amministratore delegato. Sono loro due ad aver prodotto alcuni dei successi di Raiuno degli ultimi anni: tra tutti, Don Matteo, ma anche Che Dio ci aiuti, Un passo dal cielo ed il recente Non dirlo al mio capo.

Blogo, all’interno di una serie di interviste ai produttori di fiction italiani, ha raggiunto Luca e Matilde Bernabei per parlare proprio del loro lavoro di produttori, degli esordi, della loro mission rivolta ad un pubblico familiare e della difficoltà di riuscire a realizzare produzioni di successo.

Abbiamo chiesto loro anche di commentare le critiche che spesso riceve Don Matteo, ma anche di anticiparci il futuro della loro casa di produzione, ovvero I Medici, nuova serie tv che porterà il pubblico all’interno di una delle famiglie più potenti del Rinascimento ed artefici del successo di numerosi artisti di quel periodo.

Lux Vide è stata fondata nel 1992 da vostro padre Ettore. Voi ai tempi non eravate ancora parte attiva, ma che ricordi avete di quegli anni?

Matilde: Abbiamo iniziato nel ’92. Io quasi subito ho cominciato con mio padre, e dopo poco si è aggiunto Luca. Tutti e tre venivamo da esperienze limitrofe ma non da imprenditori della produzione. Una cosa che abbiamo capito subito e su cui abbiamo subito cominciato ad investire come azienda è stata la qualità professionale e tecnica delle persone, quindi formare. Da questa base, poi, l’azienda è cresciuta e si è sviluppata ulteriormente: noi siamo partiti subito con un progetto che era la Bibbia, abbiamo realizzato 52 ore co-prodotte con americani. E’ stata la prima volta che su un progetto europeo sono confluiti investimenti americani, con ottimi risultati e grandissimi registi ed attori, vincendo anche l’Emmy Award. Alla base di qualunque successo di serialità televisiva c’è una grande capacità creativa ed organizzativa, un lavoro di squadra dal primo momento dell’idea. Noi, alla Lux, abbiamo allo sviluppo delle idee un gruppo fortissimo di editor, alcuni dei quali sono diventati scrittori, in un modo da non dover assolutamente invidiare nulla agli inglesi ed agli americani, e poi l’organizzazione della pre-produzione, abbiamo spazi dove scrittori e registi, costumisti e scenografi lavorano insieme prima della produzione, siamo poi collegati online con i set. Da subito abbiamo puntato nella qualità del lavoro che facciamo, c’è un forte investimento nelle persone e nella tecnologia che ci permette di avere ottimi successi sul fronte degli ascolti. Come ci diciamo con Luca, un film può succedere che in maniera imprevista abbia successo, per la fiction sostanzialmente non succede mai, perchè c’è un alto tasso di creatività, ma anche di tecnicalità, e questo è un vero e proprio lavoro che si apprende e che è difficile.

Avete accennato alla Bibbia, il vostro biglietto da visita, con cui vi siete fatti conoscere. E’ però un tema abbastanza difficile, sia dal punto di vista produttivo che dei contenuti. Perchè avete deciso di partire con questa produzione?

Matilde: Perchè la Bibbia è il libro più venduto e meno letto del mondo, volevamo farne conoscere i contenuti anche a chi non l’ha mai letta. L’abbiamo fatto con esperti ebrei, designati ufficialmente dalle differenti confessioni religiose, musulmani e cristiani, contro già allora il fondamentalismo, per dire ai credenti che tutti vengono da uno stesso Dio, anche se sono di culture e storie diverse. Già allora, rispetto a quello che succede ora, era contro il fondamentalismo, per far capire che non si possono usare strumenti religiosi per fare terrorismo. E’ stato un biglietto da visita importante per lavorare subito con gli Stati Uniti, siamo subito partiti con un triplo salto con l’asta… Però poi ci siamo sviluppati con la lunga serialità, dove abbiamo ottenuto ottimi risultati, ma anche continuando ad essere gli unici a produrre in inglese. Abbiamo una forte attenzione nei confronti delle nuove frontiere della serialità, siamo pronti ad affrontare le sfide della nuova serialità, e siamo pronti ad affrontarne le sfide.

Avete visto la versione di History Channel de La Bibbia, come vi è sembrata?

Luca: Mi piacerebbe che i cattolici fossero rispettati come lo sono gli appartenenti alle altre confessioni.

La vostra mission, pubblicata sul sito ufficiale della Lux Vide, è quella di realizzare produzioni di qualità, con il rispetto dell’uomo e per tutta la famiglia. Potrebbe sembrare un po’ in controtendenza rispetto a tante produzioni internazionali che invece puntano ad un pubblico elitario che però suscita grandi dibattiti online. Vi sentite un po’ controcorrente?

Luca: Diciamo che la mission nasce dalla storia di nostro padre (direttore generale della Rai dal 1961 al 1974, ndr) che ha diretto un’azienda privata che aveva un rispetto per lo spettatore sicuramente maggiore, c’era attenzione a chi guardava. Non a caso abbiamo scelto questo posizionamento di marketing. Non è solamente una visione di vita e del lavoro. Come ha fatto Walt Disney, anche se non mi ci voglio paragonare, sai a chi parli. E’ chiaro che quando lavori con grandi broadcaster come Rai e Mediaset, anche se con qualche differenza di target, bisogna proporsi ad un pubblico familiare, e bisogna farlo tecnicamente: + necessario scomporre il pubblico potenziale e creare degli strand, tipologie di storie, che funzionino per tutti i target, è questo che genera ascolti. La più grande bugia che si può dire della televisione è che l’innovazione faccia ascolti bassi. Non è vero: l’innovazione fa ascolti bassi quando non è fatta bene. Ci sono dei prodotti nuovi, come Non dirlo al mio capo, che ha avuto dei target pazzeschi: il 25% di share, un 27% di teenager, un 29% di responsabili di acquisto… Abbiamo ringiovanito di 5 anni l’età media dell’ascoltatore della fiction Rai. E’ un lavoro che si fa una parte sulle sceneggiature, dall’altra sul confezionamento, ovvero il cast, la regia, le musiche, il montaggio, la correzione del colore, tutto ciò che fa il mood della fiction. Realizzare una fiction è costosissimo e difficilissimo da fare.

L’ostacolo maggiore nel fare una serie tv, per un produttore, qual è?

Luca: Creare un meccanismo di serialità, cioè quel meccanismo per cui lo spettatore torni a vedere quella serie. Un meccanismo che non a caso c’è in Don Matteo, Che Dio ci aiuti e Non dirlo a mio capo. In quest’ultimo caso è la bugia: Lisa (Vanessa Incontrada, ndr) ha detto una bugia che non può dire nell’ambiente di lavoro. Lavorare su target ampi è molto più difficile che lavorare su target piccoli. I giornali italiani, ed a volte anche voi, fate quest’errore di dire che le serie belle fanno pochi ascolti: proviamo a lavorare per sei milioni di telespettatori. E’ molto più difficile. Non si può paragonare la serialità di Raiuno e Canale 5 a quella della tv via cavo.

Matilde: Noi siamo veramente convinti di essere capaci di fare serie tv per piccole e grandi nicchie. Poi se ci saranno spazi di sperimentazione ulteriore su Raidue e Raitre, saremo felici, perchè proporsi questi obiettivi per il pubblico di Raiuno è sempre più complicato, come abbiamo visto da tante nuove serie che sono partite quest’anno.

A proposito di Rai e Mediaset, il network può interferire nel lavoro che fate?

Matilde: Noi lavoriamo assolutamente in accordo con i network. Noi facciamo delle proposte, più ricche sono queste più possiamo arrivare a sperare di scegliere la qualità migliore.

Soffermiamoci ora sulle vostre fiction. Non possiamo non parlare di Don Matteo: la decima stagione ha segnato il record d’ascolti della serie, con 9,6 milioni di telespettatori. L’undicesima stagione è confermata, ma ci sono due questioni che pubblico e critica si chiede: innanzitutto il motivo di questo successo, e poi anche il fatto che spesso Don Matteo viene associato ad un modo di fare fiction “statico”, ovvero senza cambiare nulla. Durante la realizzazione delle stagioni di Don Matteo, avete mai recepito questa critica e cercato di dimostrare il contrario?

Matilde: Continuamente, tutte le stagioni di Don Matteo hanno avuto grandi tassi di innovazione al suo interno. La questione è quando fai innovazione ed il pubblico gradisce ugualmente. Anche la decima stagione di Don Matteo ha ottimi target su giovani, giovani adulti, bambini… Poi bisogna vederla, perchè in tanti la criticano avendo visto solo una puntata…

Noi no, ce la siamo vista tutta!

Matilde: Ecco, mi interessa sapere il suo giudizio…

Io noto uno schema, come ha detto prima il Dr. Bernabei, che si ripete a livello narrativo… E viene dato più spazio alla commedia che al poliziesco, e poi c’è la risoluzione del caso ed il lieto fine. Ed è uno schema che viene ripetuto in tutte le stagioni…

Matilde: Ma in Don Matteo noi trattiamo argomenti seri, dal bullismo alla donazione di organi, dando delle ipotesi di soluzione, ponendo un problema e facendo vedere che questo problema si può affrontare. E questo dal punto di vista della sceneggiatura, mi creda, è difficilissimo da scrivere. Il servizio pubblico è parlare dei problemi e dare delle ipotesi di soluzioni. Il pubblico premia Don Matteo non perchè è rassicurante, ma perchè nella vita te la puoi sempre rigiocare, che è una cosa che è presente in molte delle nostre serie, come uno stimolo operativo, che la gente vede e rivede. E questo è difficilissimo da realizzare. Ci sono delle prevenzioni. Per noi, il fatto di avere in ogni stagione un pubblico maggiore della precedente, è un lavoro non banale, e questo è il lavoro del produttore. Poi noi continuiamo a cercare nuove strade. Se possiamo farlo per la rete via cavo, per noi la strada è in discesa… Abbiamo tante idee e sappiamo come affrontarle per avere successo. Ciò che è più difficile in assoluto è ottenere gli ascolti che le nostre serie realizzano su Raiuno, in maniera continuativa e non causale.

Una curiosità su Don Matteo, che però ho su tutte le serie tv che vanno avanti per tante stagioni: ad un certo punto non iniziate a pensare a come chiuderlo e dargli un finale, come tanti fan vanno a cercare negli show chiusi per bassi ascolti?

Luca: Don Matteo ha delle linee orizzontali abbastanza flebili. Il nostro protagonista è un detective, è un angelo viaggiatore che non cambia mai. Cambiano le storie intorno a lui, che si concludono. Don Matteo potrebbe andare avanti, finchè Terence (Hill, ndr) lo vorrà fare, finchè Nino Frassica lo vorrà fare… Ed anche questo è uno dei motivi del successo, il fatto che non ci siano stati grossi cambiamenti nel cast, eccetto il capitano dei carabinieri (Anceschi, interpretato da Flavio Insinna, è uscito di scena alla quinta stagione, ndr), c’è una ricchezza nelle storie… I produttori hanno continuano ad investire in quelle storie. Non si può pensare adesso come finirà perchè lo stai facendo, è come stare con una donna e pensare a quando non ci starai più… Ogni volta pensiamo alle possibilità di fare meglio per intrattenere il telespettatore.

Negli ultimi anni state virando sempre di più verso la commedia, sia in Don Matteo che in Che Dio ci aiuti e Non dirlo al mio capo: a cosa si deve questa scelta?

Luca: Un po’ perchè lo fanno in molti, un po’ perchè in questo momento la gente secondo noi ha bisogno di sorridere, di essere rassicurata, tranquillizzata… Credo che sia la missione di Raiuno. E poi, naturalmente, non c’è solo quello: Un passo dal cielo è molto più action e lo sarà di più con l’ingresso di Daniele Liotti, ed anche altre serie che abbiamo allo studio alla Lux sono molto più mistery e crime. Siccome lo sappiamo fare bene ce lo fanno fare molto!

A proposito di Non dirlo al mio capo, ci sarà la seconda stagione?

Luca: Io credo che sarebbe strano che non si rinnovasse un prodotto che fa il 25%… Bisognerebbe chiedere ad Eleonora Andreatta (direttrice di Rai Fiction, ndr), abbiamo avuto un sacco di richieste dei fan sui social network.

Lavorate spesso per filoni: quello religioso con la Bibbia, quello dei Santi, quello letterario, quello delle favole e la commedia. Quale sarà il prossimo?

Matilde: Il Rinascimento, le grandi produzioni come I Medici.

Come si mette su una fiction come questa?

Matilde: E’ molto, molto difficile. Abbiamo scelto di partire da quelli che hanno creato il tutto e non da Lorenzo il Magnifico, che arriverà nella seconda stagione, ma da Giovanni De Medici e da suo figlio Cosimo che, venendo dal tessile, hanno fatto il passaggio dall’usura alla banca, inventandola nella accezione che conosciamo oggi ed inventando poi, grazie alla passione di Cosimo, che voleva fare l’artista e che è stato costretto a fare il banchiere, un nuovo tipo di azione tra denaro, arte e cultura, che ha dato il via ad uno dei più grandi patrimoni artistici del mondo. Quindi, partendo da una situazione di grande difficoltà nella zona, avendo tutti i nobili contro, perchè erano per la guerra ed il potere, hanno creato in qualche modo la classe media, dando la possibilità di prestare denaro per sviluppare attività di vario genere, commerciali ed imprenditoriali. Hanno sostenuto artisti come Brunelleschi, Donatello e poi Michelangelo e Leonardo, dando vita ad una campagna che prolungava la loro grandezza e che dura ancora da 700 anni. Sono innovatori, una famiglia che ha cambiato il mondo. Nel cast Dustin Hoffman interpreta Giovanni De Medici, Richard Madden Cosimo De Medici, e ci sono anche molti attori italiani. Un grande cast ed un grande showrunner, Frank Spotnitz.