Home Mediaset Infinity Sandro Piccinini a Blogo: “Non raccontare Europei e Mondiali mi fa soffrire. Vi spiego perché uso ‘ccezionale’, ‘non va’ e ‘sciabolata’”

Sandro Piccinini a Blogo: “Non raccontare Europei e Mondiali mi fa soffrire. Vi spiego perché uso ‘ccezionale’, ‘non va’ e ‘sciabolata’”

Le critiche per l’eccesso di enfasi e per la ripetizione dei vocaboli, l’aneddoto della telefonata di Berlusconi, il tweet contro Trapattoni

pubblicato 27 Maggio 2016 aggiornato 2 Settembre 2020 00:40

Il più popolare, il più amato sui social, il più esaltante, per alcuni il più bravo. Il più anziano (58 anni) tra quelli attualmente in attività. “Insieme al mio coetaneo Gianni Cerqueti“, ci tiene a precisare quando glielo facciamo notare.

La telecronaca si può fare finché si ha la lucidità fisica, non c’è un limite. Fino ai 60, 61, 62 anni. È una questione fisica, non solo di vista. È una questione di riflessi. Quando faccio mezzo errore in telecronaca poi non dormo per due notti. Sarò io il primo a tirarmi fuori.

Sandro Piccinini è il primo dei protagonisti del ciclo di interviste che Blogo pubblicherà nelle prossime settimane ogni venerdì per indagare il mondo del calcio e dello sport in tv. Gli Europei e la Copa America si avvicinano. Ma, per adesso, tutti gli occhi sono puntati sulla finale di Champions League che Canale 5 trasmetterà in diretta domani sera (per la prima volta in Italia sarà trasmessa in diretta anche in 4K, in esclusiva per i clienti Premium al canale 391 – immagini visibili in una qualità quattro volte superiore al Full HD, telecronaca di Pierluigi Pardo) e che proprio Sandro Piccinini – proprio lui – racconterà.

Cosa non deve fare assolutamente un telecronista?

Non deve mai sentirsi protagonista, non deve sentirsi più importante della partita. È una regola che spesso non viene rispettata perché ci sono manie di protagonismo e voglia di emergere. Ultimamente si sentono telecronisti che da questo punto di vista esagerano un po’ con giudizi lapidari, con voglia di lasciare il segno. Il telecronista bravo ti deve accompagnare senza disturbare, senza sovrastare l’evento. La telecronaca è un servizio per i telespettatori: deve aiutare non solo a riconoscere i giocatori, ma a spiegare anche l’evento, alcune situazioni regolamentari e tattiche. Inoltre, il telecronista deve cercare di non annoiare, deve dare ritmo e pathos, non essere troppo distaccato dal punto di vista emotivo.

Come si prepara la telecronaca di una partita?

La preparazione adesso è facilitata da internet, ma la regola è sempre quella di provare a sapere tutto dei giocatori che entrano in campo, raccogliere il maggior numero di notizie sull’evento. Essere preparatissimi, ma con un’avvertenza: non voler dimostrare a tutti i costi, perché sarebbe un eccesso di narcisismo, di sapere tutto. Spesso io su partite di squadre straniere preparo 100 informazioni, ma durante la partita se non ci sono le occasioni ne posso dare anche solo 5. Non bisogna essere ossessionati, altrimenti si rischia di asfissiare il telespettatore. Le informazioni vanno date se c’è una pausa, mai a gioco in corso.

C’è qualcosa che col passare degli anni non fa più durante la telecronaca?

Ho azzerato quasi del tutto i dati statistici. Posso dare i più importanti prima dell’inizio della partita, poi li ignoro completamente. È giusto che il giorno dopo sul giornale ci sia scritto ‘è stato l’ottavo gol di testa segnato da questo calciatore’, ma durante la telecronaca francamente lo trovo superfluo. Inoltre penso di essere progredito negli anni – è stato il mio primo impegno ed è uno sforzo che continuo a fare – nell’evitare le frasi fatte e i luoghi comuni. Limitare il numero di parole, diventare più essenziale, cercare di parlare meno. Perché dico ‘non va’? Perché un tempo il telecronista diceva ‘il tiro alto sorvola la traversa senza impensierire il portiere’, ora bisogna essere più essenziali. Anche perché non è una radiocronaca e la gente vede quel che succede in campo! Tra seconda voce e bordocampo si rischia di asfissiare il telespettatore.

A proposito di seconda voce, quale è lo schema migliore per una telecronaca? Telecronista+seconda voce+bordocampista o, come ha fatto la Rai recentemente, telecronista+bordocampista?

La telecronaca con la seconda voce è più ricca. Non è un caso che tutte le televisioni del mondo in tutti gli sport usino la voce tecnica o addirittura una terza voce. Poi è sempre un discorso di dosaggio e di bravura: la seconda voce se ha i tempi e dice cose interessanti arricchisce, altrimenti disturba. Ma, come regola, la telecronaca ad una voce è molto povera anche perché il telecronista è portato a seguire il pallone, non i movimenti dei giocatori. La seconda voce può invece essere molto utile a livello tattico.

La migliore seconda voce con cui hai lavorato?

Io ormai ho una specie di matrimonio di fatto con Aldo Serena, da più di 20 anni. Siamo amici ed è molto importante anche l’affiatamento fuori dal campo. Mi trovo bene con tutti, ma con Aldo sono legato anche dal punto di vista affettivo.

La migliore seconda voce della concorrenza?

A parte Bergomi, che è riconosciuto da tutti, direi Giancarlo Marocchi, che mi piace abbastanza. Secondo me è cresciuto molto, ha il giusto dosaggio, è ironico, è pacato, vede bene la partita.

Hai un modello di riferimento per la telecronaca?

Da ragazzino ero pazzo di Enrico Ameri, radiocronista Rai, era l’alter ego di Sandro Ciotti. Aveva un ritmo pazzesco. Era l’unico radiocronista che riusciva ad essere in sintonia con l’azione. Ho cercato di trasportare quel ritmo e quel coinvolgimento emotivo nelle telecronache. È stato certamente un modello per me.

Ricordi una tua telecronaca catastrofica?

Catastrofica no, ma non rimasi contento della telecronaca della finale di Champions League Borussia Dortmund-Juventus del 1997. La Juve perse e io mi lasciai un po’ prendere dalla delusione perché tutti si aspettavano che vincesse. Risentendomi non mi piacqui, mi lasciai coinvolgere dal punto di vista emotivo. Mi lasciai condizionare. L’anno prima, nel 1996, la Juve vinse la Champions e la telecronaca della finale la fece Bruno Longhi. Nel ’97 toccò a me e la Juve perse, mi lasciai prendere dallo scoramento.

Risenti sempre le tue telecronache?

No, i primi periodi della mia carriera lo facevo. Adesso, se capita, mi fermo a sentire 5 minuti della replica per controllare la qualità dell’audio.

La telecronaca che ti ha emozionato maggiormente?

Una che mi appassionò fu Manchester-Bayern Monaco del 1999, con la rimonta pazzesca degli inglesi negli ultimi tre minuti.

Veniamo al tuo vocabolario. Tra ‘incredibile’, ‘non va’, ‘ccezzionale’, ‘mucchio selvaggio’, ‘sciabolata’ e ‘destro secco’ c’è un termine a cui sei affezionato in particolare o di cui ricordi come sia nato?

Non nascono a tavolino come qualcuno pensa, ma sono generati dalla necessità di sintetizzare situazioni di gioco. Per esempio non mi ero accorto di dire ‘ccezionale’, come se non avesse la ‘e’. L’ho scoperto sentendolo dai ragazzini che giocavano a pallone sotto casa. Ora quando lo dico sono un po’ condizionato, quasi quasi mi viene da scimmiottare loro. La prima volta che mi capitò qualcosa di simile fu con ‘sciabolata’, che colpì particolarmente non so neanche perché. È il vocabolo più antico tra questi. Qualcuno sostiene che io ripeta sempre gli stessi termini, ma ‘sciabolata’ io lo posso dire una volta in una partita, non in tutte le partite, mezzo secondo in 95 minuti.

Ecco, a tal proposito Giampiero Galeazzi recentemente ha sentenziato: “I telecronisti di oggi sono preparati ma un po’ artificiali. Guarda Piccinini, dice sempre le stesse cose…”

È un commento semplicistico e superficiale. Le frasi che hai citato tu prima le posso dire 1,2,3 volte in una partita, totale un secondo e mezzo su 100 minuti. E comunque se c’è un tiro in porta devo dire ‘tiro in porta’, è inevitabile ripetere certi termini. Se uno facesse un’analisi meno superficiale si renderebbe conto che in 100 minuti il vocabolario non si riduce a quelle tre parole. Però ci vuole la voglia di approfondire, mentre quello è stato un giudizio un po’ sommario. Ma va bene così, Galeazzi è un mito, va rispettato.

Tra le accuse che ti vengono rivolte c’è l’eccesso di enfasi. Hai mai avvertito il rischio di diventare caricatura di te stesso?

Una volta feci la telecronaca di Barcellona-Real Madrid da studio, ‘da tubo’, come si dice. Cominciai elencando in fase di presentazione tutti gli assenti, erano tanti, da una parte e dall’altra. Feci il primo tempo contento, pensavo di aver fatto una buona telecronaca. All’intervallo mi fanno sapere che c’è Silvio Berlusconi al telefono in regia. Diventai pallido. “Piccinini, volevo farle i complimenti, ha fatto un’ottima telecronaca, peccato che l’avranno sentita in pochi perché quando lei ha fatto l’elenco degli assenti avranno cambiato canale!”. Io risposi: “Ma è una informazione che bisognava dare”. Lui: “Certo, ma non in apertura”. Nella presentazione bisogna mettere in risalto le cose che possono indurti a vedere la partita. Ci può stare l’enfasi nella presentazione dell’evento. In questo mi dichiaro colpevole!

Il rischio di diventare caricatura di te stesso non ti ha mai sfiorato?

Se dico ‘mucchio selvaggio’ 2 volte su 100 minuti pensano che io stia esagerando. Altri telecronisti ripetono ‘tiro’ o ‘parata’ 12 volte in una partita. La sostanza è che in una partita ci sono situazioni che si ripetono.

Altra critica: le tue telecronache hanno un debole attinenza con la realtà della partita. Insomma, usi ‘incredibile’ per ciò che in realtà non è incredibile.

Questo lo si può verificare, perché io faccio telecronache, non radiocronache. Se dicessi ‘incredibile’ per una cosa che non lo è, stonerebbe. Si cerca di essere in sintonia con ciò che vedi, perché lo vedono tutti. È inutile che io dica ‘numero’ per un passaggio di un metro. La telecronaca ti impedisce di barare. Nel tono – e non nei termini – il discorso è diverso: un po’ di enfasi deve esserci, aiuta. Le partite possono essere noiose e quello è un modo per tenere viva l’attenzione. Ma nella sostanza è impossibile bluffare. Quindi è una critica ridicola.

Hai parlato di telecronaca da tubo, come si dice in gergo. Ti accade ancora oggi di farla? Ed è molto più complicata rispetto a quella dallo stadio?

A me non succede più, facendo sempre le partite più importanti vado sempre allo stadio. Ma ne ho fatte tantissime ai tempi delle tv locali. Non saprei dire quale delle due sia più facile, in quanto entrambe hanno delle insidie. Forse, in assoluto, il tubo è più semplice. Col tubo hai meno distrazioni e un solo monitor. Ma dipendi molto dalla regia e questo è un rischio soprattutto di questi tempi quando, dopo l’azione, partono dodici replay che coprono quello che succede in campo. Ci sono colleghi per i quali la partita è finita 1-0, ma il gol era stato annullato: il regista ha mandato 6 replay e il telecronista non se ne è accorto. Allo stadio puoi guardare il campo, ma devi dare anche un’occhiata anche al monitor.

Qual è la percentuale monitor/campo?

Quando il pallone è gioco si guarda il campo, perché il gioco lo si segue meglio… se la postazione non è drammatica. A gioco fermo devi privilegiare il monitor, che è quello che la gente vede da casa.

Tanto per farci degli amici nelle società di calcio, negli stadi ci sono ancora oggi postazioni drammatiche?

Beh, drammatiche… ci sono postazioni brutte. All’estero Barcellona e Porto. In Italia Napoli è disagiata, quando piove e c’è vento piove in tribuna stampa. Abbiamo fatto una telecronaca con l’ombrello aperto. Udine, invece, col nuovo stadio è migliorata. In fatto di stadi, come noto, l’Italia è rimasta indietro. Però anche in alcune strutture moderne all’estero le postazioni televisive sono un po’ trascurate. Evidentemente non è una priorità di chi pensa gli stadi.

Domani sera racconterai su Canale 5 la finale di Champions League. Quanto cambia per te il fatto che non ci sia una squadra italiana in campo?

Con la Juve sarebbe stata un’altra cosa, ci sarebbe stata tutta un’altra atmosfera. L’ho vissuta l’anno scorso, c’era tutta un’altra attesa, altre pressioni e più responsabilità. Poi è sempre una finale di Champions, quindi una partita importante. Io le partite le preparo tutte allo stesso modo. So già che il 90% delle mie informazioni finiranno nel cestino, perché sarà una partita molto intensa. Le preparo per inerzia, ma so che le userò poco. Tutte le informazioni che sto immagazzinando serviranno solo a rendermi più tranquillo in postazione.

Quanto ti dispiace non poter raccontare in diretta Europei e Copa America?

Della Copa America posso farne a meno tranquillamente. Europei e Mondiali mi dispiace. Ogni 2 anni ho il mio mese di sofferenza. Nel 1988 seguì gli Europei per Tele Capodistria, poi basta. È un mio tarlo, un mio cruccio, ma d’altra parte Mediaset non hai mai fatto né Europei né Mondiali. Mi manca molto questa esperienza. Però, non si sa mai, spero in extremis, in chiusura di carriera in un colpo di scena. Vediamo se con Vivendi si possano prendere i diritti… chissà!

C’è mai stata la concreta possibilità di lasciare Mediaset (qualche anno fa si parlò di Sky Sport)? Ed è una eventualità che escludi per il futuro?

Soprattutto adesso che non sono più di Mediaset, ma di una società straniera (Vivendi, Ndr) tutto può succedere. Non si può escludere nulla. In passato sì, con Sky ci siamo annusati per sei mesi-un anno. Poi per vari motivi non si è concretizzato e sono rimasto fedele a Mediaset. Lì ho tantissimi amici, come i due fratellini che sono cresciuti con me, Caressa e Marianella…

Li hai scoperti tu.

Sono due ragazzi che sono cresciuti con me. Quando nel ’90 mi affidarono la cura del film ufficiale dei Mondiali scelsi loro due come collaboratori, lavoravano con me a TeleRoma. Ma a Sky ho tantissimi amici, a cominciare dal direttore Massimo Corcione.

La Nazionale l’hai commentata anche dopo gli Europei del 1988.

Sì, una amichevole, contro l’Ungheria.

Non si è mai capito bene perché tu abbia lasciato Controcampo.

I motivi sono diversi. Fu una mia scelta, il programma andava benissimo, mi implorarono fino all’ultimo di non lasciarlo. Ma io avevo voglia di fare le telecronache anche nel weekend – quando c’era Controcampo facevo solo le Coppe e qualche anticipo a Milano. Ho fatto 400 puntate in 10 anni, arrivando a doppiare La Domenica Sportiva. Dal punto di vista dei risultati, più di quello era difficile ottenerlo. Per me quando subentra la routine è la morte. E la trasmissione, dopo 400 puntate, diventa routine. Iniziavo ad annoiarmi. Le telecronache sono diverse una dall’altra. Sentivo il richiamo del campo e pensavo fosse giusto chiudere l’esperienza di Controcampo al top. Devo dire che la scelta che presi non l’ho mai rimpianta. Anche se per tanti anni mi hanno chiesto di rifarlo. Avremmo rischiato di trascinarci e di essere ripetitivi.

Mi sembra di averti sentito dire in un’altra intervista che negli anni qualcuno in tv ha proposto dei plagi di Controcampo…

No, non mi pare di averlo detto. E comunque non è che ci fossero dei segreti: la domenica sera può parlare di calcio chiunque.

Chiudiamo con una bella polemica: qualche mese fa scrivesti un tweet critico su Giovanni Trapattoni voce tecnica della Rai. Poi lo cancellasti. Cosa successe?

Ero ai primi tempi di Twitter, ho fatto dei casini non volendo. Non c’era un intento di censura. Era una battuta che rifarei domani. Una battuta su una situazione che mi pare evidente. Trapattoni è uno splendido ospite in studio, ma non è una seconda voce di una telecronaca. È un dato di fatto, non c’è niente di male. È stato un allenatore leggendario e potrebbe essere un grande personaggio da studio per i suoi mille aneddoti, ma quel tipo di ruolo non è per lui. E mi sorprende che in Rai, dove ci sono professionisti, non abbiano voluto risolvere la situazione. Evidentemente c’è stato un ragionamento legato all’importanza del nome. Ormai della qualità dei prodotti, mediamente, ai dirigenti televisivi non frega più niente. Ripeto: in quel ruolo è inappropriato, ma è come se mi chiedessero di fare una tappa del Giro d’Italia… sarei inappropriato.

Avrai sicuramente letto che non sarà più Trapattoni la seconda voce di Rai Sport per gli Europei…

No, non avevo letto.

Sarà Walter Zenga.

Allora vuol dire che la nuova direzione di Romagnoli ha voluto risolvere il problema. Ma ripeto: dopo la partita in studio Trapattoni è perfetto.

E infatti dovrebbe essere in studio.

Ah, sono in sintonia con Romagnoli allora! (ride, Ndr))

L’intervista è finita, ma il sottoscritto ha dimenticato di chiedere a Piccinini per quale squadra di calcio faccia il tifo. Così riprovo a chiamarlo, ma lui non “è più acceso”, come usa dire quando ha il telefonino spento. E allora la risposta arriva poco dopo via sms:

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