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Io non mi arrendo, su Raiuno il film-tv che ricorda le indagini di un uomo sui rifiuti tossici

Su Raiuno Io non mi arrendo, film-tv ispirato alla vicenda di Roberto Mancini, poliziotto che indagò sui rifiuti tossici in Campania

pubblicato 15 Febbraio 2016 aggiornato 2 Settembre 2020 04:40

Giuseppe Fiorello propone un’altra fiction dal valore civile, in cui il protagonista è un uomo che ha lottato e sacrificato la propria vita per il bene della comunità: Io non mi arrendo, in onda questa sera e domani alle 21:20 su Raiuno, è infatti la storia di Roberto Mancini, poliziotto della Criminalpol che per primo indagò sul traffico di rifiuti tossici in Campania da parte della criminalità organizzata e che è morto due anni fa a causa di una malattia causata proprio da quei veleni.

Il film-tv racconta le indagini di Marco Giordano (Fiorello), personaggio ispirato appunto a Mancini, che, negli anni Novanta, si ritrova a lavorare in Campania dopo un’indagine per usura. Qui scopre alcune attività dell’avvocato Gaetano Russo (Massimo Popolizio), che acquista terreni senza valore ed apparentemente inutilizzabili. In realtà, l’uomo vuole riversare su quei terreni i rifiuti tossici che andranno ad inquinare tutto il territorio.

Marco avvia così le indagini, aiutato dal suo team ma anche dal giovane Vincenzino Abate (Luigi D’Oriano), scoprendo le mosse di Russo ed i rischi che la comunità corre. Parte così la sfida contro l’avvocato, che dura anni, durante cui il protagonista conosce Maria (Elena Tchepeleva), si sposa ed ha una figlia, Martina (Giulia Salerno). La battaglia contro Russo, però, è difficile: lui ha amicizie nella politica, nella pubblica amministrazione e nell’economia, e non è facile riuscire a trovare le prove necessarie a dimostrare ciò che sta facendo.

Il protagonista, intanto, si ammala, a causa di quegli stessi rifiuti tossici su cui sta indagando: inizia le cure, accettando un secondo incarico, dopo che il suo lavoro viene archiviato. Ma quando un giovane magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia, Giovanni Cattaneo (Paolo Briguglia) gli dice che vuole riaprire le indagini, Marco ricostruisce la sua vecchia squadra per rimettersi al lavoro, nonostante la malattia non gli dia pace.

Io non mi arrendo è sia la storia di un fenomeno portato alla luce negli ultimi anni e relativo alla Terra dei Fuochi, ma anche di un uomo che, prima che tutti gli altri se ne rendessero conto, ha iniziato ad indagare su un caso che lo Stato italiano, ai tempi, non aveva preso in considerazione.

Prodotto da Raifiction e Picomedia, con il soggetto di Jean Ludwigg e Marco Videtta, che hanno anche scritto la sceneggiatura con Enzo Monteleone, quest’ultimo anche regista, e la collaborazione di Giuseppe Fiorello e la consulenza di Monica Dobrowolska, moglie di Mancini, il film-tv racconta una storia che evidenzia, da una parte, la scarsa attenzione data a questo caso nei primi anni delle indagini, e dall’altra la forza con cui uomini come Mancini hanno lavorato per contrastare la criminalità organizzata.

Una fiction che, ha spiegato Fiorello, ha suscitato in lui rabbia ed emozione:

“Rabbia, perché la storia di Mancini è piena di ingiustizie, di imperizie, di silenzi, di valutazioni volutamente sbagliate. È impossibile non indignarsi di fronte alla mancanza di dedizione e vocazione alla giustizia da parte di certi organi dello Stato che avrebbero dovuto sostenere Roberto sin da subito nel suo lavoro, collaborando a un’indagine che avrebbe potuto -fin da allora- smascherare un piano scellerato, criminale e irresponsabile. Invece lo hanno lasciato solo. È impossibile non arrabbiarsi di fronte all’ignoranza di chi avvelena la terra sulla quale far crescere i propri figli, solo per ottenere potere e profitto.

La commozione, invece, mi è arrivata pensando alla figura di Roberto, un uomo con uno straordinario senso civile, e una totale devozione nei confronti degli altri. Un uomo che ha sempre fatto del suo mestiere una missione. Non un eroe, ma un servitore dello Stato.”

Anche Montenapoleone, infine, sottolinea il coraggio del protagonista:

“Una storia di valore e intelligenza, ma anche un dramma, una lotta per non arrendersi. Con Giuseppe Fiorello abbiamo cercato di rendergli giustizia. Roberto Mancini aveva fatto della lotta alle ecomafie la sua principale ragione di vita. Noi abbiamo fatto un film per ricordarlo.”